martedì 14 ottobre 2014

Adidas: un angelo caduto pronto a rialzarsi?

A seguito della rapida diminuzione del prezzo negli ultimi mesi (da oltre €90 ad inizio anno agli attuali €55), Adidas (ADS:GR) sembra essere diventata una delle azioni preferite da molti value investors. 

Nel corso dell’ultimo decennio Adidas ha offerto un’eccellente performance, soprattutto grazie alla sua abilità nel cavalcare l’onda lunga dei consumatori nei paesi emergenti, che rappresentano oggi oltre il 51% del fatturato e sono cresciuti negli ultimi 5 anni a tassi annui del 9%, rispetto a 6% per US e 1% per Europa.



L’azienda sembra essere apprezzata perché il suo P/E attuale è inferiore ai valori storici (il prezzo odierno è tornato ai livelli di inizio 2012, simili a quelli del picco precedente nel 2007), ed a maggior ragione quando paragonata a Nike:

Recentemente ci sono state anche voci sull’intervento di un fondo activist che spingerebbe per un cambiamento nel modo in cui l’azienda è gestita. Forse proprio per fronteggiare questa possibilità, Adidas ha appena annunciato un buyback da €1,5 miliardi da effettuarsi nei prossimi 3 anni. Tuttavia, lo stesso articolo evidenzia una certa confusione nell’azienda, perché solo ad agosto il CEO Herbert Hainer aveva detto che “[…]Adidas had no plans for a share buyback”. Per finanziare il riacquisto di azioni Adidas ha emesso un bond da €1 miliardo, che però non ha incontrato molto successo.

Perché il prezzo è sceso così tanto? Adidas è stata costretta a due profit warning negli ultimi mesi, i cui motivi principali sono stati l’attività in Russia (oggi 8% del fatturato) e la divisione di golf Taylormade. Mentre queste motivazioni sono assolutamente vere, il 2014 avrebbe tuttavia dovuto essere un anno positivo per l’azienda con i mondiali in Brasile e le olimpiadi invernali a Sochi, ed invece nei primi 6 mesi dell’anno il fatturato è diminuito del 2% e gli utili del 27%! Fare così male in un anno con i mondiali di calcio non è un buon biglietto da visita per il futuro.

Cosa non mi piace di Adidas
In ogni investimento, ma a maggior ragione in uno con queste caratteristiche, è sempre bene partire dalle cose che non ci piacciono, cercando di capire i motivi dietro il calo repentino del prezzo di mercato e se questo è dovuto a problemi temporanei o piuttosto a qualcosa di più fondamentale.

Dopo aver letto il bilancio 2013, questa è la mia lista:
  1. Il management non ha alcun obiettivo di redditività, quanto piuttosto di una crescita generica di 5%+ del fatturato: in tutto il report non ho trovato alcune riferimento a ROE o ROIC.
  2. I margini netti di profitto sono al livello di un buon supermercato (5%-6% negli anni migliori, mentre Nike è al 10%), non proprio quello che mi sarei aspettato da un marchio globale. Anche il rendimento del capitale investito (misurato sugli operating assets) è inferiore a Nike: 12%-15% rispetto a 20% per l’azienda americana.
  3. La crescita negli ultimi anni è stata trainata soprattutto dal business retail (i negozi a marchio proprio, +15% annuo negli ultimi 5 anni) piuttosto che da quello wholesale (+3%). Il business retail, tuttavia, ha margini operativi inferiori (circa 20% rispetto a 30+% per wholesale) e necessita di maggiori investimenti (ad esempio nell’acquisto / leasing e rifacimento dei negozi). Con la crescita delle vendite online (Zalando, Amazon, …), Adidas deve fare molta attenzione a quanto spendere per questi investimenti. 
  4. Il marchio Adidas sta andando bene, ma sia Taylormade che soprattutto Rebook stanno perdendo quote di mercato. Inoltre l’acquisizione di Reebok, fatta nel 2006 per €3 miliardi, non ha ad oggi portato i frutti sperati: il NOPAT da allora è cresciuto di solo €220 milioni, per un rendimento dell’investimento di solo 7%.
  5. Considerare gli US come un “mercato strategico di crescita” non sembra la scelta migliore: è vero che un’azienda come Adidas non può permettersi di non essere presente nel più grande mercato sportswear, ma non solo non ha un vero vantaggio competitivo rispetto a Nike in questo mercato (Nike è molto più grande ed ha maggiori economie di scala in advertising), ma soprattutto il brand Adidas è ancora molto legato al mondo del calcio (soccer), che sta crescendo anche negli US ma rimane a notevole distanza rispetto agli altri sport maggiori. Questo è una conseguenza del punto 1): il focus sul fatturato porta ad inseguire opportunità di crescita senza nessuna considerazione per il loro rendimento e creazione di valore. Nike, al contrario, ha un focus specifico su ROIC.
  6. Il management ha dato la colpa dei risultati scadenti ai movimenti nei tassi di cambio dei paesi emergenti, ma questo è un rischio normale (se non il principale) di fare business in quelle nazioni. Secondo il bilancio 2013 l’azienda non copre il rischio di cambio nei paesi emergenti perché “too expensive”. È vero che le coperture di queste valute sono costose, ma non farlo è quasi un suicidio. Un retailer in Russia, ad esempio, è short le valute forti due volte: in primo luogo perché la maggior parte della merce è importata dalla Cina ma è prezzata in USD/EUR; e poi perché i costi come l’affitto dei negozi sono anch’essi denominati in dollari/euro. Le vendite sono però fatte in rubli: se RUB si deprezza rispetto a USD/EUR i margini di profitto possono evaporare rapidamente. Confrontando questa scelta con quella di Nike (pagina 77 e 78 del report 2014), si vede come questa ha un programma di hedging molto sofisticato che crea molta meno volatilità negli utili (e soprattutto in Comprehensive Income, una variabile che molti analisti ignorano ma che ha invece molta importanza).
Aspetti positivi
  1. Adidas è un marchio molto conosciuto e con enorme appeal soprattutto nei mercati emergenti, nei quali il calcio è lo sport principale. Bisogna però ricordare che un brand non è, di per sé, un moat: può essere un (buon) vantaggio competitivo, ma non ha caratteristiche intrinseche di durabilità e può perdere rapidamente valore se non è gestito bene. Un vero brand dovrebbe inoltre rendere l’azienda capace di avere margini e rendimenti del capitale superiori alla media, cosa che invece Adidas non sembra in grado di fare.
  2.  Struttura patrimoniale molto conservativa: il debito è contenuto (anche dopo l’emissione del nuovo bond) e facilmente ripagabile dai flussi di cassa generati.
  3. La cultura del management è di estrazione “tedesca”, che vuol dire ad esempio poche stock options e salari contenuti di tipo europeo piuttosto che americano.
Conclusioni
Ammetto di non essere un esperto quando si tratta di valutare l'importanza ed il valore degli intangibles come i marchi, ma al prezzo attuale (P/E sugli utili attesi del 2014 di 17x) Adidas non è propriamente in territorio value

Per giustificare un investimento si deve assumere o che gli utili cresceranno nei prossimi anni, o che il multiplo torni ai valori passati. È vero che Nike tratta a multipli superiori, ma è anche un’azienda con fondamentali migliori. Ed è difficile ipotizzare che il 2015 sarà per Adidas un anno migliore del 2014 dal punto di vista dei profitti (il buyback aiuterà sotto il profilo degli utili per azione), con i problemi continui in Russia e nessun evento sportivo di rilievo in calendario.

Se qualcuno volesse puntare sull’effettiva apparizione di un activist, questo potrebbe essere un buon catalizzatore per far risalire il prezzo nel breve periodo. Ma un turnaround di Adidas richiede molto più che un semplice spin-off di Reebok o Taylormade, quanto piuttosto un cambiamento nella strategia e negli incentivi.

Adidas è chiaramente una “scommessa” sul futuro dei mercati emergenti, che probabilmente pagherà nel lungo periodo ma può presentare difficoltà nel breve/medio periodo. Ed oggi ci sono alternative meno costose per puntare sui mercati emergenti.

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