giovedì 5 marzo 2015

Le obbligazioni greche e lo strano mondo di Mr. Kazarian

Con i continui sviluppi nella tragedia (o farsa?) greca, un articolo del New York Times merita sicuramente attenzione: Paul Kazarian, fondatore del fondo Japonica Partners, vi asserisce infatti che il debito netto della Grecia è in realtà solo un decimo (!) dei numeri ufficiali. Il suo fondo è uno dei maggiori possessori privati di obbligazioni greche, comprate a prezzi stracciati nel corso del 2012 (nel 2013 aveva stupito tutti la sua offerta pubblica di acquisto fino a quasi €3 miliardi di titoli al 45% del valore nominale ), sulle quali ha realizzato ad oggi ottimi guadagni, per lo meno sulla carta perché per il momento non ha ancora venduto.

La sua opinione è che questi titoli siano ancora un eccellente investimento: i dati ufficiali sull’esposizione greca (debito al 175% del PIL) sono assolutamente inutili e fuorvianti perché non riflettono il reale valore delle obbligazioni, e stanno distraendo l’attenzione dai veri problemi “soffocando la Grecia senza motivo”. Già qui qualcosa sembra non tornare: se il reale debito è insignificante, come può essere allo stesso tempo la causa principale del soffocamento dell’economia ellenica? Ma Mr. Kazarian non è un altro accademico senza una vera esperienza dei mercati finanziari che pontifica dalla sua torre d’avorio (vero, Mr. Krugman?): al contrario, è un investitore esperto con un eccellente track record e che quindi merita di essere ascoltato.

I punti della sua tesi sono:

  1. Date le concessioni fatte alla Grecia negli ultimi anni (allungamento delle scadenze e riduzione delle cedole a tassi inferiori al mercato), il suo debito effettivo è molto inferiore al valore nominale (par), e quindi è sostenibile
  2. Considerarlo al fair value porta a numeri più realistici (“migliore contabilità”)
  3. Una miglior trattamento contabile porta a maggior fiducia sul futuro ed a decisioni migliori da parte dei politici
Una precisazione: perché il rapporto debito/PIL non è un buon indicatore
Nonostante il rapporto tra lo stock di debito in circolazione ed il PIL sia la variabile più citata ed utilizzata, questa misura è un indicatore inadeguato della solvibilità di uno stato, per almeno 3 buoni motivi:

  1. Debito lordo vs. netto: questo rapporto utilizza il debito totale e quindi sovrastima la dimensione delle passività nette (la differenza può a volte essere significativa), soprattutto quando il maggior debito è stato emesso per favorire i finanziamenti o acquistare altre attività finanziarie. Le buone notizie, però, finiscono qui.
  2. Passività off-balance: tale rapporto include soltanto alcune delle passività contrattuali di un governo. Ce ne sono molte altre che sono, in una forma o l’altra, debito dello stato ma che non sono comprese nelle statistiche nazionali, come ad esempio il deficit pensionistico per i dipendenti pubblici a carico dello stato.
  3. PIL ed entrate fiscali: quello che in realtà è importante non è il PIL, ma le entrate dello stato, perché la dimensione delle passività va comparata con le risorse disponibili per ripagarle. Una delle caratteristiche di uno stato sovrano è che può sempre aumentare le proprie entrate alzando il livello della tassazione, ma in questo modo catturerà soltanto una frazione del PIL: il rapporto debito/PIL fornisce quindi un’immagine troppo rosea delle finanze pubbliche.
Argomentazione #1: il “vero” debito greco è inferiore ai numeri ufficiali
Con la ristrutturazione del 2012, parte del debito greco fu cancellato con il famoso haircut e parte fu rifinanziato. Questa è stata soprattutto una decisione politica: all’epoca il costo del debito dei paesi periferici europei era superiore al 5% e per facilitare la ripresa fu deciso non solo di allungare le scadenze, ma anche di concedere un tasso ben inferiore a quello implicito nelle dinamiche di mercato. Ma nonostante l’haircut di 70%-75% fu deciso di cancellare un ammontare non eccessivo per non mettere in pericolo le banche che avevano stupidamente prestato alla Grecia, così oggi ci siamo accorti che il fardello è ancora troppo elevato. È innegabile che il valore di mercato del debito sia di gran lunga inferiore a quello nominale.

Quindi, concessioni, rifinanziamenti, etc…: ma questo significa che il debito effettivo è inferiore ai dati ufficiali? Come detto, quello che importa veramente è il rapporto tra il debito (e soprattutto gli interessi da pagare) e le entrate fiscali. Triangolando i dati da Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea ho calcolato i numeri nella tabella sottostante (le stime a volte variano, quindi non sempre è possibile farsi un’idea esatta della situazione): anche sotto questo aspetto la situazione greca è fortemente negativa, e questi numeri non considerano il recente peggioramento dei conti (molte persone hanno semplicemente smesso di pagare le tasse dopo la vittoria di Syriza alle elezioni).

Fonte: Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea.

Naturalmente, la Grecia potrebbe semplicemente aumentare le tasse (o trovare entrate aggiuntive) e contenere il problema: questo è esattamente quello che vuole la Troika e l’opposto di quello che Tsipras ha promesso. In sintesi: non importa da che parte lo si guardi, il debito greco non è sostenibile senza ulteriori concessioni.

Argomentazione #2: fair value = migliore contabilità
Mr. Kazarian sostiene che i principi contabili utilizzati dai governi UE sono arcani e non riflettono la realtà economica, e che quindi BCE, Eurogruppo, FMI e governo greco stanno discutendo su numeri erronei. Utilizzando le cifre corrette si renderebbero subito conto che il debito greco è in realtà molto inferiore e, voilà!, problema risolto.

Se ho capito bene leggendo la presentazione citata nell’articolo del NYT, questa affermazione è basata sul fatto che i governi non usano, come invece dovrebbero fare, gli International Public Sector Accounting Standards (IPSAS): questi, come gli equivalenti principi IFRS per le aziende, prevedono la valutazione al fair value, che implica maggiore trasparenza nei bilanci. È certamente vero che un write-down dei debiti di molti stati aumenterebbe la chiarezza sulla reale situazione economica, ma questo è dettato da una certa confusione riguardo i principi contabili.

Prima possibilità: Mr. Kazarian confonde la contabilità di un creditore con quella del debitore. Se prestiamo soldi a qualcuno che in seguito non è in grado di restituirceli, è evidente che il valore attuale del prestito è inferiore a quello nominale. Nel caso di una banca, un management conservativo farebbe un accantonamento per il rischio di default e ridurrebbe in bilancio il valore del prestito al suo fair value: contabilizzerebbe quindi una perdita finché il problema non sarà risolto (ad esempio, con il fallimento del debitore) ma terrebbe comunque nota del valore nominale, perché questo è quello che è stato prestato. Purtroppo, BCE, UE, IMF ed i governi di tutti i paesi del mondo non sono interessati ad utilizzare principi contabili conservativi e trasparenti, perché in questo modo diverrebbero evidente a tutti i “buchi” nelle loro promesse ai propri cittadini…

Nella stessa situazione, però, il debitore non è autorizzato a ridurre il valore del prestito: questo non è un principio arcano, ma onestà intellettuale. Se e quando si arrivasse al fallimento, il valore nominale del prestito rappresenta il diritto legale del creditore nei confronti degli assets del debitore.

Per chiarire: supponiamo che 5 anni fa un’azienda abbia preso a prestito €100. Oggi la banca si accorge che l’azienda non sarà in grado di ripagare il debito e pertanto fa un accantonamento (=costo nel conto economico) di €70 e riduce il valore del debito a bilancio a €30. Ma l’azienda non può dire: “Il mio debito con la banca è €30”. Quando si arriva al fallimento e al riparto dei beni dell’azienda, la banca rivendicherà sempre €100: questo principio è alla base delle negoziazioni ed in ultima istanza delle decisioni dei giudici fallimentari. E Mr. Kazarian dovrebbe saperlo molto bene, perché ha operato nel campo del distressed debt investing negli ultimi 25 anni.

Questo porta ad una seconda possibilità: poiché il debito rifinanziato ha una cedola bassissima, Mr. Kazarian ritiene che dovrebbe essere contabilizzato come uno zero coupon. Perché questo? Quando si emette un’obbligazione zero coupon non si contabilizza in bilancio il valore nominale, bensì quello di emissione. Se i tassi richiesti sono del 4% per scadenze di 30 anni, lo zero coupon è emesso ad un prezzo di circa 31: è solo questo 31 che viene riconosciuto come debito tra le passività dell’azienda. Mettere l’intero ammontare (100) tra le passività sarebbe folle: significherebbe che il creditore ha un pegno tre volte superiore a quanto effettivamente prestato. Quello che accade è invece che con il passare del tempo la passività cresce e si accumula con gli interessi maturati (ma non pagati), i famosi accruals. In questo caso è la somma di prezzo di emissione + interessi maturati che fa testo in caso di fallimento. 

È questa la situazione della Grecia? In realtà no. I nuovi titoli emessi non sono zero coupon, perché è stato rifinanziato l’intero ammontare del debito, non una sua frazione. Il fatto che il fair value fosse, al momento della transazione, molto inferiore al par non ha nessun impatto sul modo in cui la passività viene contabilizzata. Il modo corretto di considerarla sarebbe stato di fare un accantonamento immediato nel bilancio del creditore, ma l’ammontare nominale rimane quello.

Ma anche se facessimo finta che fosse uno zero coupon, la realtà economica non cambiarebbe di molto. È vero che il rapporto debito/PIL sarebbe inferiore (minore stock di debito in circolazione), ma le spese per interessi rimangono le stesse, con la differenza che invece di pagare una cedola ogni sei mesi si deve mettere a budget gli interessi maturati. Può apparire migliore dal punto di vista psicologico in quanto non c’è un’uscita monetaria (e molti governi avrebbero una “scusa” per truccare ulteriormente i conti), ma dal punto di vista della sostenibilità non cambia nulla.

Un'altra considerazione: come detto precedentemente, nel determinare la solvibilità di uno stato è più corretto considerare il debito netto. Ma non sono sicuro di cosa siano esattamente i “Financial assets funded with loans / Other financial assets” riportati nella presentazione a pagina 28 per arrivare al valore del debito netto: se sono investimenti in attività in Grecia, anche questi dovrebbero subire un impairment, o no?

Argomentazione #3: migliore contabilità = migliori decisioni politiche ed economiche
Tralasciando per un attimo il problema di definire cosa sia questa “migliore contabilità”, Mr. Kazarian dovrebbe sapere che politici e burocrati non sono interessati a fare scelte migliori, quanto piuttosto ad essere rieletti, a non perdere prestigio e a non veder messe in cattiva luce le loro decisioni passate.

Chiaramente il debito greco deve essere portato su un sentiero di sostenibilità: se prendiamo come parametro la Germania ed il suo rapporto interessi/tasse, allora il debito greco dovrebbe essere tagliato (a parità di altre manovre) di un ulteriore 70% (!), ed a quel punto la Grecia meriterebbe una tripla Aaa da parte delle agenzie di rating. In fondo, nel 2012 i creditori privati hanno subito un taglio simile, basterebbe convincere la Troika a rinunciare allo stesso ammontare e Tsipras avrebbe ottenuto esattamente quello che vuole.

Ma, un momento: se parliamo di “migliore contabilità” e “trasparenza”, non dovremmo includere nel conteggio anche le passività non dichiarate? Per esempio, tutte quelle che derivano da cambiamenti demografici o associate al sistema di welfare, in maniera simile a quello che devono fare le assicurazioni vita o i fondi pensione. Sotto questo aspetto (che vale in maniera simile anche per l’Italia), le stime per la Grecia non sono certo rosee.

La situazione è esattamente quella che sembra
Non sono sicuro di quale sia il ragionamento di Mr. Kazarian che lo porta alle sue conclusioni: sembra che il suo scopo sia di convincere economisti, accademici ed in ultima istanza politici e burocrati che le cose non vanno così male come molti sostengono, e che la sua soluzione per risolvere il problema della Grecia sia facile, veloce ed indolore. Se è veramente così, dovremmo soltanto applaudirlo e sperare che riesca nel suo intento, oltre a congratularsi con lui per gli enormi profitti della sua posizione.

Ma come negli interrogatori nei film gialli ci sono sempre il poliziotto buono e quello cattivo, quella appena presentata è la versione “nice guy”. C’è anche quella “bad guy”, ovvero Mr. Kazarian si è accorto che non riesce a trasformare il suo profitto da teorico a reale per la mancanza di compratori dei suoi titoli. Non ci sono probabilmente molti investitori disposti a scommettere che la Grecia se la caverà di nuovo in un modo o nell’altro. Se è così, la sua sola speranza di uscire a livelli accettabili è di “far sparire” in qualche modo il debito greco, così che sia dichiarata la sua sostenibilità e nel mercato torni la liquidità necessaria a smobilizzare la sua posizione. D’altronde si può sempre trovare qualche “dumb money” che continua a prestate a serial defaulter (per maggiori informazioni chiedere ad Ecuador, Argentina, Costa d’Avorio, …).

Questa tesi è presente in questi mesi in molte discussioni. Il punto centrale è che più è lontana la scadenza e più basso è il tasso d’interesse, e più il debito assume le caratteristiche di equity (e nessuno è mai morto di troppa equity!). Se tutto il debito fosse rifinanziato con una nuova obbligazione a 100 anni con un tasso prossimo allo zero, il debito greco sarebbe assolutamente sostenibile dal punto di vista dei flussi di cassa in uscita. Quello che i sostenitori di questa soluzione non considerano è che il concetto di liquidità è altrettanto importante nella determinazione della solvibilità di un paese: solo perché gli interessi su questo bond a lunga scadenza e tassi bassi sono in qualche modo differiti non significa che non devono entrate nelle considerazioni sulla sostenibilità. Se la Grecia fosse solvibile (o comunque in una situazione accettabile come Mr. Kazarian afferma), il mercato dovrebbe essere disposto a rifinanziarla a tassi accettabili, e questo non sta accadendo: è vero che i mercati sono a volte inefficienti, ma pensare che dopo 5 anni ancora non si siano resi conto della reale situazione mi sembra una forzatura. 

Un’ultima considerazione, una che molti continuano a non voler capire: il fatto che ci sia qualcuno (IMF, BCE) disposto a prestare alla Grecia a tassi da pazzi non significa automaticamente che ci sia più equity (e quindi un maggior “cuscinetto”) per gli altri obbligazionisti. Se ci fosse un ulteriore haircut, potete star sicuri che IMF e BCE non saranno trattati come gli altri creditori (nonostante i prospetti delle emissioni parlino di pari-passu), e che gli obbligazionisti privati impareranno (di nuovo!) il significato del termine junior subordinated

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