mercoledì 16 marzo 2016

Quantità or qualità? (II)

Riprendendo quanto introdotto nella prima parte:
  • nel lungo periodo le azioni value (definite come?!?) hanno performance migliori rispetto a quelle growth
  • comprare a bassi multipli incorpora automaticamente un margine di sicurezza
Se è così, perché nell’ultima decade l’indice MSCI World Growth ha battuto di oltre 40% MSCI World Value (cumulato)? E come mai alcuni value investors, anche famosi, hanno perso molti soldi, cominciando con banche e housing prima della crisi e proseguendo con energy & mining oggi, tutti titoli comprati a valutazioni molto contenute (almeno all’apparenza)?

La risposta è in realtà semplice: tutte queste value traps sono passate attraverso periodi di enormi investimenti e crescita degli assets prima del loro collasso. Chi ha guardato solo alle metriche tradizionali (P/E, P/BV, EV/sales) e ha ignorato i cambiamenti nelle condizioni di domanda/offerta è stato preso in contropiede.

Prendiamo ad esempio gli US homebuilders. Prima della crisi, alcuni famosi value investors (ad esempio Bill Miller di Legg Mason) erano pesantemente investiti nel settore perché le valutazioni sembravano molto attraenti: le aziende più grandi trattavano ad un P/BV di 1,2x ed un P/E di 9x. Tuttavia, queste aziende hanno poi perso in media il 75% del loro valore, ed il book value è crollato anche di più. Il problema è che sono stati vittime della bolla immobiliare, acquistando massicciamente terreni (“land bank”) a prezzi gonfiati e contribuendo all’eccesso di offerta di nuove abitazioni. Ci sono voluti oltre sei anni prima di digerire l’eccesso di offerta e stabilizzare le valutazioni dei terreni. Chi avesse prestato attenzione all’esplosione degli assets di questi homebuilders (KB Home, ad esempio, aveva accresciuto il proprio attivo ad un tasso annuo del 30% nei 5 anni precedenti il 2006) sarebbe stato avvertito della potenziale trappola. [Lo so, dopo è sempre facile dire: “Te l’avevo detto!”…]

Come sappiamo, la stessa identica cosa è accaduta alle banche e, più recentemente, ad energy & mining. Le aziende minerarie sembravano infatti a buon mercato già dal 2011-2012, quando il Bloomberg World Mining Index trattava ad un P/E di appena 10x (circa la metà dello stesso multiplo prima della crisi): eppure da allora questo stesso indice ha perso oltre il 50%, e molte aziende di più.

Tutti i settori capital-intensive seguono lo stesso schema: l’industria vede un aumento della domanda, i prezzi aumentano ed i profitti si moltiplicano perché aumentare la capacità produttiva richiede tempo. Tuttavia, dopo qualche tempo la nuova offerta è pronta, i prezzi cominciano a diminuire e rimangono bassi per un lungo periodo. In tutti questi settori (cemento, minerari, acciaierie, …) il P/E è sempre contenuto appena prima del crollo dei prezzi. Basta osservare il grafico di ArcelorMittal, primo produttore mondiale di acciaio:


Ed il suo P/E su base annuale:
Comprare ArcelorMittal ad un P/E ad una cifra non si è rivelata una buona idea.

Di nuovo, il problema è venuto nelle mutate condizioni dal lato dell’offerta. Con i prezzi delle commodities che sono saliti esponenzialmente nella decade precedente, molte aziende si sono date alle spese pazze: il capex annuale dell’industria mineraria è salito da $20 miliardi nel 2002 ad oltre $150 miliardi nel 2015, per investimenti totali di $1 trilioni (molti dei quali a debito). Di conseguenza, l’offerta di materie prime è anch’essa aumentata in maniera esponenziale: il prezzo di iron ore si è moltiplicato per 15x dal 2002 al 2011, per poi crollare del 75%. Appena la Cina ha rallentato, queste aziende si sono ritrovate con un eccesso di capacità produttiva, write-offs e debito insostenibile (ArcelorMittal ha appena annunciato un aumento di capitale da $3 miliardi).

Perché i criteri quantitativi non sono sufficienti
Ci sono almeno 4 buoni motivi per essere molto accorti nel selezionare un investimento solo sulla base di un basso multiplo.

Il primo è che utili/FCF sono volatili e difficili da prevedere: quello che sembra a buon mercato può rivelarsi ex-post molto costoso. È (relativamente) più semplice analizzare i vantaggi competitivi e la bravura del management, fattori ben più importanti nel determinare la capacità di generare profitti nel lungo termine. Posso provare a stimare gli utili di Google o Novo Nordisk per il 2016, ma sono sicuro che tra 12 mesi avrò sbagliato, e probabilmente anche di molto. Dall’altro lato, ho più fiducia nel fatto che siano entrambe ottime aziende guidate da manager competenti: preferisco focalizzarmi su quello che posso sapere ed è importante, piuttosto che su qualcosa dove non sono migliore di una scimmia che tira freccette ad un bersaglio.

Secondo: le aziende che investono per il lungo periodo devono spesso spesare i costi nel conto economico, contribuendo a ridurre i loro utili mentre i rendimenti si vedranno solo nei prossimi anni. Un esempio è Grenkeleasing, che ha investito per espandere la propria presenza in Asia e America Latina (spese legali, costi per uffici, …) a fronte dei quali per il momento mostra pochi utili. Un’azienda simile che non facesse gli stessi investimenti potrebbe apparire più a buon mercato, ma se questi investimenti creano valore nel lungo termine il P/E attuale potrebbe non indicare necessariamente una sottovalutazione.

Terzo: le aziende che sono gestite per il lungo periodo tendono ad utilizzare principi contabili più conservativi, che può portare quelle con gli utili contabili più elevati a non essere necessariamente quelle più convenienti. Un esempio è BMW, che ha sempre posticipato tutti i profitti dalla vendita delle auto attraverso leasing: con il totale che è cresciuto nel tempo, questo ha avuto l’effetto di attenuare gli utili riportati. Altre aziende automobilistiche fanno questo solo in parte a livello di gruppo: non è illegale, solo meno conservativo, e le differenze si accumulano nel tempo. 

Quarto: il sell-side tende ad ignorare la capacità del management di allocare il capitale. In genere, gli analisti considerano la liquidità come una componente residuale, ignorando l’effetto di acquisizioni, buyback e riduzione del debito. Questo porta a stime troppo conservative per le aziende migliori che hanno economie di scala e possono impiegare ulteriore capitale in progetti a rendimenti superiori, ed allo stesso tempo a sopravvalutare le aziende scarse che invece distruggono valore – soprattutto quando i volumi collassano.

Conclusioni
Molte aziende sono costose anche se a prima vista sembrano value; al contrario, azioni growth con posizioni competitive vantaggiose e capex disciplinato sono investimenti decisamente migliori (assumendo che riescano a mantenere un elevato ROIC).

Comprare qualcosa di cheap con la prospettiva di un evento che realizzerà il valore intrinseco è divertente, può produrre risultati eccezionali ed offrire protezione dal downside (le aziende di qualità tendono ad essere più costose). Si rischia però di non capire come un business crea, mantiene e difende la sua posizione competitiva per generare rendimenti duraturi, perdendo di vista quello che potrebbe succedere oltre 12 mesi. “Scommettere” su un rimbalzo/espansione dei multipli ignora il fatto che la mean-reversion è guidata dai cambiamenti nella redditività, che a sua volta è data dai cambiamenti nelle condizioni di domanda/offerta. È per questo che più che equity analyst occorre essere business analyst: se non ci si accorge della differenza, il rischio è di cadere da una value trap all’altra.

Comprare quello che è ultra-cheapsenza alcuna analisi dettagliata del business sottostante - funziona solo su portafogli con moltissime azioni. È spesso molto più remunerativo fare l’analisi una volta sola e poi mantenere per anni una posizione in un’azienda di qualità.

12 commenti:

  1. Ho letto con attenzione e condivido gran parte dei concetti espressi nell'articolo. Tuttavia ho una nota da fare.
    L'acquisto basato sul vantaggio competitivo e sulla bravura del management ha dei rischi non indifferenti e paragonabili a quelli derivanti dalla valutazione degli indici di bilancio e dei multipli. Se l'azienda che ho acquistato ad un prezzo superiore alla media del settore perchè leader del mercato perde il suo vantaggio competitivo, il titolo crollerà. Così come se il management che per anni ha fatto sempre bene inizia a prendere cantonate (un esempio lampante è Leucadia National Corporation che lei stesso consigliò lo scorso anno di prendere a 24$ ed oggi quota 15$).

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    1. Questo è ovvio, se si compra sull'ipotesi che l'azienda mantenga un vantaggio competitivo e questo non avviene, la tesi si rivela errata ed il prezzo pagato eccessivo.

      Riguardo a Leucadia (che non si è certo rivelata un successo ma che io continuo a tenere in portafoglio) vorrei fare qualche precisazione:
      - Nel post sono state identificate le problematiche che potevano pesare sul titolo, in particolare: 1) JEF pesa per il 50% del bilancio, quindi LUK dipende dall’andamento del settore bancario; 2) non ci sono più Steinberg e Cummings; 3) poco interesse per gli utili di breve; 4) è un “inflation play”, perché la maggioranza dei business posseduti soffre in situazioni di deflazione
      - Non è un titolo da comprare se non si pensa di tenerlo per qualche anno: il rischio peggiore era stato identificato proprio in “asset impairments”
      - Quali sono secondo lei le cantonate che ha preso il management? Se si riferisci all’andamento di JEF, questo dipende molto dal settore in generale.

      L’ultima cosa: non ho mai detto “Compratela perché il prezzo salirà ed io sono un genio”. Primo perché non consiglio mai cosa fare a chi non conosco. Secondo, perché l’analisi riflette le mie opinioni e valutazioni soggettive, che non solo possono ovviamente essere sbagliate, ma soprattutto vanno bene per me ed all’interno del mio portafoglio: c’è una differenza enorme tra “consigliare” un titolo (per qualsiasi motivo) e gestire un portafoglio.

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    2. Tutto quello che lei dice è giusto e ci tengo a precisare che non le sto dando nessuna colpa per il calo di Leucadia. E' stata una mia scelta, ci mancherebbe. Tutto ciò che lei scrive è molto utile per i lettori del blog che comunque devono ragionare con la propria testa, mi sembra ovvio.
      Riguardo gli errori che secondo me hanno commesso i manager di Leucadia, mi riferisco sia a JEF (che ha subito colpi molto più forti dei suoi competitor statunitensi), che a KCG, continuando per National Beef e tutte le altre operazioni che non riescono a generare un dollaro di cassa.
      Io sono su Leucadia con una prospettiva almeno decennale, ma questo non significa che io non debba seguire i conti della Società e delle sue mosse.

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    3. JEF ha subito colpi più pesanti perché è mid-size rispetto a GS o Morgan Stanley, e perché tradizionalmente è più presente (oltre che in Fixed Income) in Leveraged Finance ed Energy, due dei settori peggiori al momento.

      Forse mi sbaglio, ma non credo che i vari business siano acquistati/gestiti per massimizzare la generazione di FCF: LUK non è BRK, dove tutto quello che è extra (float, …) viene mandato a Warren Buffett per investirlo in altri progetti. LUK compra assets che vanno male, lo hanno detto chiaramente qualche tempo fa: “We tend to be buyers of assets and companies that are troubled or out of favor and as a result are selling substantially below the values, which we believe, are there. While we are not perfect in executing this strategy, we are proud of our long-term track record. We are not income statement driven and do not run your company with an undue emphasis on either quarterly or annual earnings.”

      Nessuno è contento di veder scendere il valore di un investimento, ma LUK non è il proverbiale business di “prodotti affermati che anche un idiota può gestire”: oggi è essenzialmente una banca con qualche altro business attorno, ed il management è l’elemento critico. Se non ci piacciono le banche o non abbiamo fiducia nel management, questo non è l’investimento adatto.

      Io mi concentrerei di più sul fatto se i business sottostanti hanno perso del reale valore (forse si, ma magari no), e se LUK ha cartucce da sparare in altre operazioni distressed che potrebbero presentarsi in questo periodo.

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    4. di molot simile a BRK per la gestione del float c'è Markel: http://www.rationalwalk.com/?p=13786

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Ciao Matteo, cosa ne pensi del metodo proposto da Ken Fisher nel suo libro "super stocks"? Si basa su analisi del ros e dei margini, se ho ben capito.
    Inoltre, hai mai approfondito il Piotroski score?
    Mi potresti dare una tua valutazione in merito? Grazie. Michele.

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    1. Non conosco a fondo la strategia di Fisher, che mi è sempre sembrata di tipo GARP (ROS sta per Return on Sales?)

      Il Piotroski score, da quello che so, serve a determinare la "solidità finanziaria" di un'azienda, un po' come lo Z-score di Altman per predirre il default o il modello di Beneish per le frodi: Piotroski può essere utile come ulteriore metrica, ama di per sè non indica un'azienda di qualità (per lo meno nella mia definizione di qualità).

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  4. Ciao Matteo,
    avrei una domanda da farti. Sono venuto a conoscenza per caso di questo blog e sembri una persona preparata quindi ti pongo la seguente domanda. Una volta che ho analizzato un'azienda e ho deciso di investire perché rispetta dei fondamentali importanti, come faccio a sapere in che modo la sta valutando il mercato? In altre parole come faccio a confrontare il prezzo di mercato in un dato momento con il vero valore dell azienda?
    Grazie.
    Marco.

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  5. Mi è arrivato un messaggio (che però qui non vedo: cancellato dall’autore?) con questa domanda:

    “Ciao Matteo, avrei una domanda da farti. Sono venuto a conoscenza per caso di questo blog e sembri una persona preparata quindi ti pongo la seguente domanda. Una volta che ho analizzato un'azienda e ho deciso di investire perché rispetta dei fondamentali importanti, come faccio a sapere in che modo la sta valutando il mercato? In altre parole come faccio a confrontare il prezzo di mercato in un dato momento con il vero valore dell azienda?
    Grazie.
    Marco.”

    Purtroppo nessuno conosce il “vero” valore di un’azienda, quello che possiamo fare è una stima (si spera conservativa) del suo valore intrinseco. Per arrivare a questa stima ci sono diverse metodologie, a seconda del settore e/o delle preferenze dell’investitore: reddituale, patrimoniale, DCF, multipli, liquidazione, …

    Non so se ho risposto alla domanda di Marco.

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  6. Ciao Matteo. Non é che ho cancellato il messaggio é che non capisco come pubblicarlo perché non ho alcun account tra quelli proposti su questo blog. Volevo pubblicartelo come anonimo. Si hai risposto. Ora che ho un'idea più chiara hai libri e ho pagine internet da consigliarmi di leggere?! Il mio intendo é proprio quello di arrivare al vero valore riflesso dal prezzo dell azione (ovviamente conservativo).
    Grazie mille.
    Marco.

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    1. non dovrebbero esserci requisiti particolari per postare come Anonimo (lo fanno tutti...): comunque questo è arrivato correttamente.

      Un paio di anni fa avevo raccolto qui alcune idee su libri ed articoli che ho trovato molto utili: http://mrmarketmiscalculates.blogspot.it/2014/02/per-chi-volesse-approfondire-libri.html

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