Si tratta sicuramente di uno dei prodotti di maggior successo degli ultimi anni, con le vendite che sono passate da $230 milioni nel 2011 ad oltre $1,600 milioni nel 2015, per un CAGR annuo di 62% (lo stesso non si può però dire degli utili: gli EPS sono esattamente allo stesso livello di 5 anni fa).
Fonte: GoPro 10-K 2015.
Prezzata all’IPO nel giugno 2014 a $24, ha rapidamente raggiunto quasi $90 prima di crollare ai $10 odierni.
Come è possibile questo andamento per un’azienda i cui fatturati sono in costante crescita e che non ha debito? La risposta è semplice: “A fad is not a moat”. Un conto è avere un brand riconoscibile e prodotti universalmente apprezzati, ed un altro è generare flussi di cassa che giustificano la valutazione del mercato. Aziende che sfruttano mode passeggere, che sono troppo dipendenti da un singolo prodotto, o che devono continuamente reinventarsi (soprattutto nel settore tecnologico) non hanno un vero vantaggio competitivo e non creano valore in maniera sostenibile. Anche se sembra che per molti questo sia più che sufficiente per giustificare un investimento…
Come FitBit (FIT:US), il cui prezzo dalla quotazione ha subito una traiettoria simile, GoPro è quello che gli americani chiamano “one-trick pony”: troppo dipendente da un singolo prodotto e quindi vulnerabile. Praticamente tutto il fatturato di GoPro viene dai “mountable and wearable accessories”, mentre il lancio del nuovo drone è stato rinviato a fine anno “per perfezionare le sue caratteristiche rivoluzionarie” (in un mercato nel quale le alternative abbondano).
Nel prospetto per la quotazione, GoPro infatti ammetteva che: “[…] competitors have the capacity to leverage their sales efforts and marketing expenditures across a broader portfolio of products, broader distribution and established relationships with channel partners, access to larger established customer bases […] and the ability to bundle competitive offerings with other products and services.” Secondo i calcoli di Bloomberg, oltre un terzo del fatturato proviene da 4 retailers: Best Buy, Amazon, Wal-Mart e Costco. Ed è evidente come non solo i fatturati e le unità vendute sembrano aver già raggiunto il picco, ma i retailers devono vendere i prodotti a sempre maggiore sconto per esaurire le scorte.
Fonte: GoPro 10-K e 10-Q.
Questo articolo di Barron’s spiega molto bene la situazione:
“History hasn’t been kind to one-product wonders like GoPro, which now dominates the market for video cameras. Blackberry once had a similar perch in smartphones. So did Palm in the days of digital organizers. And Flip, an impressive video camera in its own right, surged in popularity until it was usurped by cellphone cameras.”Nonostante gli sforzi del management di riposizionare la strategia dalla semplice cattura delle immagini alla loro condivisione, GoPro rimane un eccellente costruttore di prodotti di consumo di nicchia ma non è una media company, ed a poco sono serviti i tentativi del sell-side di far passare questa idea: “The valuation levels are not obscene here, when I look at something like Twitter at 30x sales its not so bad”.
- Non ha veri contenuti media da monetizzare. È vero che i suoi canali YouTube hanno generato oltre 450 milioni di visualizzazioni, ma non solo non vale l’equazione “views = clicks = advertising dollars” (i ricavi da YouTube sono meno di $1 milione nonostante le massicce spese di marketing), ma soprattutto i contenuti non sono di sua proprietà: sarebbe come dire che i diritti di Star Wars sono di chi ha prodotto la cinepresa con la quale sono stati girati. Il recente accordo di collaborazione con Red Bull per non meglio specificati “content production, distribution, cross-promotion and product innovation” ha fatto aumentare il prezzo del 10% in una settimana (Red Bull ha anche acquistato una partecipazione azionaria), ma non cambierà di molto la sostanza.
- Non è un business con ricavi ricorrenti. Prodotti come gli smartphones portano ad upgrade perché dipendono dal software; quelli di GoPro, al contrario, devono mantenere degli standard costanti a causa degli accessori che li accompagnano, limitando le vendite ripetute.
- Non ha molto pricing power. La storia dei consumer electronics è piena di esempi nei quali le aziende sono state troppo ottimiste sul mercato potenziale: essere il #1 non significa automaticamente avere pricing power. L’introduzione di copie “sufficientemente buone” a prezzi inferiori per tutti questi prodotti (smartphone, TV, videcamere digitali) porta sempre ad una riduzione dei margini ed alla saturazione del mercato. Ed al contrario di iPhone e Playstation, i prodotti di GoPro non hanno una particolare componente di software che “obbliga” i clienti a rimanere con l’azienda: i costi di switch sono molto bassi.
GoPro è stata venduta all’IPO ad una valutazione di $3 miliardi perché gli investitori erano disposti a puntare su una storia di elevata – ma molto rischiosa - crescita per un’azienda di prodotti di consumo il cui mercato potenziale è molto più ristretto di quello che si creda: per quanto tecnologicamente eccellenti, queste videocamera attraggono soprattutto gli sportivi ed i malati di adrenalina, non certo lo stesso bacino degli smartphone.
Ed al contrario di quest’ultimi (che tuttavia stanno subendo gli stessi effetti), le videocamere non sono rimpiazzate continuamente con i nuovi modelli. Questo spinge GoPro a cercare di penetrare sempre di più il canale retail in maniera diretta per mantenere la crescita promessa: e questo ha un costo, come visto nella contrazione dei margini. Come tutti i consumer electronics, alla fine raggiungerà il punto di saturazione (già passato?) e sarà costretta ad inventarsi qualcosa di nuovo (il drone?): forse ci riuscirà, forse no.
Alla capitalizzazione attuale di $1.4 miliardi tratta ancora ad un P/E di 40x ed EV/EBIT di 21x (calcolati sui risultati del 2015: nel solo primo trimestre del 2016 la società ha perso $108 milioni)*. Questa valutazione assume che: 1) la strategia media sarà enormemente redditizia, oppure 2) sarà in grado di mantenere i margini attuali ed accrescere gli utili per i prossimi 10 anni.
Al momento non sembra che nessuna di queste due ipotesi sia probabile.
[*] L’azienda sembra a buon mercato se valutata su EV/FCF, attorno a 11x, ma questo solo perché tra i flussi di cassa operativi ci sono $80 milioni di opzioni concesse ai dipendenti, ovvero oltre la metà dei flussi di cassa riportati. È vero che tecnicamente questi costi non sono monetari (e quindi vengono ri-aggiunti nei FCF), ma sempre costi sono: quello che fanno è diluire massicciamente gli azionisti esterni, ed infatti dalla quotazione le azioni in circolazione sono aumentate del 65% (da 83 a 138 milioni). Focalizzarsi su metriche come adjusted EBITDA come fa il management di GoPro è indice di una bassa qualità degli utili: includendo questi costi il multiplo EV/FCF sale a 42x.
Gran bel articolo!
RispondiEliminaL'EV/FCF che passa da 11x a 42x e' la dimostrazione che il diavolo si nasconde nei dettagli.
Mi fa sorridere che citi il blog Pelia's View, e' un blog di un 'insane long only investor', completamente privo di una qualsivoglia analisi giusta o sbagliata che sia (spazzatura webfinanziaria).
Pero' la cosa triste sui mercati e' che tutte queste analisi non so quanto servano a ottenere buoni risultati.
Stavo guardando ieri il quarterly report (Q1) del Carmignac Patrimoine scaricabile dal loro sito ( https://www.carmignac.com/en/carmignac-patrimoine-a-eur-acc )
Al contrario di quel che credevo, il fondo fa stock picking vistoso, visto che il 40% investito in equity è diviso solo in una 50 di azioni (anche sui bond poi fa picking, ha un 5% di titoli di stato Portogallo).
Di certo Carmignac non risparmiera' nell'assumere ottimi analisti, almeno al suo livello credo.
Eppure non batte il benchmark a 2, 5, e 10 anni (grafico aggiornabile sul loro sito)
Lo batte pesantemente dall'inizio del fondo, ma dal lancio al 2000 nuovamente non ha battuto il brnchmark. Insomma sembra che il miracolo l'abbia fatto nella crisi del 2000 e basta (fortuna?)
Non so, sicuramente parte della colpa la si puo' dare alla dimensione crescente del fondo che rende dura investire dove si vuole (presumo che non possa permettersi di comprare small/mid cap viste le sue dimensioni).
(a prescindere poi che non ho capito se il benchmark tenga conto del TER annuo del fondo 1,5%)
Comunque insomma alla fine tutte queste analisi e poi alla fine della fiera vincono i mercati...
...non e' demotivamente? ;)
Comunque non voglio tediarla con questi discorsi, che per altro sono abbastanza fuori dal tema dell'articolo.
Il benchmark non paga né commissioni né costi di transazione: quando vede il confronto tra il NAV di un fondo ed il benchmark, il primo è netto, il secondo è sempre "lordo". Da una parte hanno ragione i gestori: il fondo ha dei costi “naturali” che l’indice non ha. Dall’altra parte è però vero che questi costi sono troppo alti per gestioni che troppo spesso non fanno che replicare il benchmark.
EliminaControllate sempre se il benchmark è “compatibile” con la gestione, soprattutto se ci sono commissioni di performance.
Da una rapida analisi mi sembra che la performance del Carmignac Patrimoine a 10 anni non sia così terribile, e dall’inizio ha fatto meglio del benchmark in 14 anni su 26 (quindi poco più del 50%...). Ma ha fatto molto meglio nel 1990, 1993, 2000, 2002, 2003 e 2008: quindi protegge bene in situazioni di crolli del mercato (anche se credo che il motivo sia che in queste situazioni il fondo può andare tutto in liquidità/bond, mentre il benchmark è fisso al 50% di azioni).
Un mio amico specializzato in gestioni quantitative aveva replicato la performance del Carmignac Patrimoine con un semplice allocazione tattica tra azioni e obbligazioni basata su medie mobile a 200 giorni: quindi la buona performance del fondo potrebbe essere non dovuta al genio quanto all’applicazione disciplinata di un algoritmo (comunque da non disprezzare)