mercoledì 18 gennaio 2017

“Digital gold: Bitcoin”

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema delle crypto-currencies, “Digital Gold: Bitcoin and the Inside Story of the Misfits and Millionaires Trying to Reinvent Money” è un buon punto di partenza. Scritto da un giornalista, non è un trattato tecnico o economico, quanto piuttosto la storia dei vari protagonisti che sono stati responsabili del lancio, sviluppo e diffusione di Bitcoin (il libro termina nel 2014 e quindi non include alcuni degli avvenimenti più recenti).

L’idea di una moneta “alternativa” non è certo nuova: sono infatti decenni che molti cercano qualcosa che possa aggirare l’intervento dei governi nella sfera economica. Per molti il concetto di moneta è associato alle banconote stampate da ogni paese, ma questa è una convenzione recente: fino al 1800 negli US la valuta in circolazione era emessa da banche private, e per secoli molti paesi hanno fatto affidamento sulle monete emesse da altri stati.

L’evoluzione verso una moneta digitale non è diverso dall’utilizzare oro, conchiglie o dischi di pietra: l’obiettivo è trovare qualcosa di uniforme ed affidabile che possa farci confrontare un cesto di mele, il tempo necessario per un taglio di capelli ed un quadro. Secondo il sociologo Nigel Dodd “good money is able to convert qualitative differences between things into quantitative differences that enable them to be exchanged.

Una “buona moneta” deve avere delle caratteristiche ben precise: deve essere duratura, spostabile, divisibile e scarsa (nel senso che non può essere duplicata da chiunque). L’elemento più importante rimane tuttavia la fiducia delle persone che la usano nel fatto che in futuro varrà qualcosa: quello che rende qualcosa utilizzabile come moneta è il numero di persone disposte ad usarla.

I primi ad ipotizzare una valuta completamente digitale furono negli anni 1990 un gruppo di programmatori raccolti sotto il nome di Cypherpunks: quello che cercavano era qualcosa di universale che potesse essere spesa dovunque senza limiti, un po’ come i crediti galattici nella Repubblica di Guerre Stellari.   

Gli esperimenti nell’utilizzo di tecniche crittografiche per trasferire soldi senza richiedere alcuna informazione personale portarono a DigiCash, che però richiedeva ancora la presenza di un’organizzazione centrale che confermasse la firma digitale su ogni transazione. Questo significa che bisogna avere fiducia che questa istituzione non traffichi con i vari conti: quando l’azienda fece bancarotta nel 1998, DigiCash sparì.

Bitcoin apparve nell’autunno 2008, quando un personaggio chiamato Sathoshi Nakamoto pubblicò online il paper originale, ricevendo però pochissimi riscontri: per molti mesi solo alcuni nerd si interessarono a divulgarla. Quello che Satoshi aveva immaginato, più che una moneta elettronica, era una sorta di oro digitale, qualcosa che potesse essere posseduta da chiunque e spesa dovunque. Per renderla simile all’oro, il software prevede che possano essere create fino ad un massimo di 21 milioni di monete. A differenza dell’oro, però, Bitcoin può essere facilmente spostata da un posto all’altro e può essere suddivisa fino ad un milionesimo di una moneta (questa unità di base è stata chiamata proprio Satoshi) e trattata separatamente. Un’altra caratteristica che la differenzia è che un lingotto d’oro “esiste” indipendentemente dagli altri lingotti, mentre Bitcoin esiste solo all’interno di un network, decentralizzato ma altamente strutturato, che come Internet non è però gestito da nessuna autorità centrale. 

In maniera schematica, il processo di creazione di Bitcoin funziona nel modo seguente: dopo aver scaricato il software ci si collega al network, entrando in competizione con tutti i computer connessi per ottenere le Bitcoin che sono rilasciate in blocchi di 50 (“mining”, in gergo tecnico). Queste sono aggiudicate a chi riesce a risolvere per primo un rompicapo matematico: Satoshi sviluppò il programma in modo che all’aumentare del numero di computer che cercano di risolvere i quesiti, questi diventano sempre più difficili così da mantenere più o meno costante il tempo di circa 10 minuti tra una soluzione e l’altra.

I dettagli del funzionamento del software sono complicati e basati su formule matematiche complesse, ma il processo per creare e trasferire valuta tra le persone che compongono il network è molto semplice. Anziché fare affidamento su una banca centrale (come le economie moderne) o altra istituzione (come DigiCash), il sistema su cui si basa Bitcoin è strutturato in maniera tale che ogni transazione tra due portafogli è registrata sui computer di tutti quelli che partecipano al network, una sorta di “libro mastro” pubblico (“public ledger”). Un utente può avere più “indirizzi” (come si possono avere più conti bancari) e quindi più password; a differenza delle password tradizionali, che sono mantenute in un database da qualcuno che controlla che siano inserite correttamente, nel software di Bitcoin è invece possibile utilizzare la propria chiave d’accesso crittografata senza che nessun altro necessiti di conoscerla. Né una banca, né una società di carte di credito, né alcun regulator.

La condivisione del libro mastro fa in modo che in qualsiasi momento chiunque nel network può controllare che i soldi spesi da qualcuno appartengano proprio a quel portafoglio, senza avere la necessità di sapere chi sia. Il funzionamento del sistema non si basa sulla fiducia, né in Satoshi né in un’istituzione centralizzata come per DigiCash: la fiducia è semplicemente riposta nel codice del programma, che è open source e quindi modificabile.

Il libro descrive come Bitcoin è passata da una specie di passatempo per nerd ad un fenomeno planetario. Il primo ostacolo da superare fu quello di poter scambiare Bitcoin con dollari, che richiede la creazione di un vero e proprio exchange: nella prima transazione registrata un utente inviò 5.050 Bitcoin ad un altro e ricevette in cambio $5.02 via PayPal. Questo fece sorgere un’importante domanda: quanto vale un Bitcoin? In questa transazione il prezzo fu determinato dal costo dell’elettricità necessaria al computer per ottenere le Bitcoin inviate. In seguito ci fu poi un tale che offrì 10.000 Bitcoin a chi fosse riuscito a fargli consegnare due pizze a casa: ai prezzi attuali sono state le pizze più costose della storia, a quasi $4,5 milioni l’una…

Una delle prime applicazioni nel mondo reale e che ha dato a Bitcoin una nomea negativa è stato invece il famigerato mercato nero di Silk Road, il cui fondatore Ross Ulbricht è stato condannato per traffico di droga ed omicidio.  

Il vero successo di Bitcoin arrivò con i postumi della crisi finanziaria e la sfiducia nelle grandi banche, quando cominciarono ad interessarsene Silicon Valley ed, in parallelo, i cinesi: sempre più professionisti (venture capital, hedge funds) sono entrati in competizione per sviluppare piattaforme di trading per scambiarla.

Parte dell’attrazione può anche essere attribuita al mistero che circonda la figura di Satoshi Nakamoto, che si è sfilato nel 2011 perché interessato ad altri progetti. La caccia alla sua reale identità è aumentata negli ultimi mesi: lo scorso anno un tipo australiano ha annunciato di essere lui, ma senza dare nessuna prova. Secondo alcuni calcoli, l’ammontare mined da Satoshi dovrebbe essere di circa 1 milione di Bitcoin, per un valore attuale di circa $900 milioni: ma sembra anche che non abbia mai né speso né trasferito una singola unità. 

I pregi di Bitcoin
Il vero punto di forza delle valute elettroniche è nella velocità con la quale si eseguono le transazioni ed i bassi costi associati. Una transazione di Bitcoin si conclude in dieci minuti o poco più [al contrario di quello che molti credono, il trasferimento non è istantaneo: diventa ufficiale solo quando un miner la conferma e la registra nel libro mastro, appunto circa 10 minuti], mentre con il sistema bancario tradizionale ci vogliono mimino un giorno (spesso molti di più) e non si possono fare nei giorni di festa. Nel libro è raccontato l’aneddoto di Morgan Stanley che nel pieno della crisi del 2008 necessitava di nuovi capitali che aveva trovato nella banca giapponese Mitsubishi UFJ: l’accordo fu raggiunto di domenica ma poiché il lunedì seguente era il Columbus Day ed il sistema interbancario era chiuso, Mitsubishi fu costretta ad emettere un assegno da $9 miliardi per completare la transazione in tempo utile.

Tra i primi e più ferventi sostenitori di Bitcoin ci sono stati gli argentini: in un paese con inflazione al 100%, restrizioni alle esportazioni di capitale e un mercato nero di cambiavalute più grande di quello ufficiale, è stato quasi automatica l’adozione di una valuta che è non-replicabile e non-attaccabile dalle autorità. Allo stesso modo, il vero boom in termini di utilizzatori è avvenuto in Cina (si stima che 80% delle transazioni giornaliere siano oggi di utenti cinesi), anche in questo caso per le restrizioni all’esportazione della valuta domestica dovute al controllo ferreo del governo sul tasso di cambio del renmimbi.

Quello che è meno chiaro è il valore aggiunto di Bitcoin nelle normali transazioni: i consumatori sembrano molto meno interessati dei commercianti alla sua adozione per gli acquisti online. Per i commercianti il beneficio è evidente, in quanto le società che eseguono l’operazione prendono una fee di 1% rispetto al 2%-3% di Visa e Mastercard. Ma i consumatori non percepiscono questo guadagno, perché per loro i prodotti non sono più economici se pagati in Bitcoin rispetto ad altre valute. I consumatori continuano a preferire i ristorni ed i punti premio che ottengono dalle carte di credito.

Problemi, reali e teorici
La struttura di Bitcoin e l’anonimato dei conti è tale che una volta eseguita e registrata una transazione nel libro mastro, questa non è più né reversibile né cancellabile: se qualcuno fa un’operazione utilizzando la chiave di accesso privata, è impossibile riavere indietro i soldi.

Se da un lato è vero che il software non è mai stato hackerato nonostante vari tentativi e che nessuno è ancora riuscito a creare dei falsi Bitcoin (al contrario delle altre valute), dall’altro lato il punto debole del sistema sono i vari exchanges che sono nati come funghi negli ultimi anni: la maggior parte dei furti delle chiavi di accesso sono avvenuti proprio sugli exchanges (Mt. Gox su tutti, ma ce ne sono stati altri). A questo bisogna aggiungere l’integrità delle persone che gestiscono queste piattaforme, la cancellazione per errore delle password di clienti che le avevano “affidate” all’intermediario (che sempre per l’anonimato completo non sono più recuperabili) e le accuse di riciclaggio fatte da varie agenzie di controllo. Uno studio del 2013 aveva concluso che quasi il 50% degli exchanges nati fino all’epoca era poi fallito, portando con sé i soldi dei clienti.

Ci sono però anche ostacoli di tipo puramente economico:

  • Poiché esiste un tetto al numero di Bitcoin in circolazione, il suo valore è destinato a crescere nel tempo in quanto risorsa scarsa. Ma questo porta ad un incentivo per chi già le possiede a tenerle e non a spenderle, che non solo causa deflazione ma va contro il concetto di moneta universale.
  • Allo stesso tempo, qual è il loro valore se nessuno le spende? E cosa c’è a “garantire” questo valore, che è solo teorico? Lo stesso discorso può essere esteso alle normali banconote da quando non esiste più il gold standard, ma dietro di queste c’è sempre la promessa dei governi di accettarle almeno per il pagamento delle tasse: a nessuno piace, ma è proprio quello che conferisce autorevolezza alle attuali banconote.
  • Infine, l’enorme volatilità del prezzo la rende, al momento, impossibile da utilizzare per il suo uso basilare di “misura di scambio”: se un consumatore non sa se il prezzo domani sarà $100 o $1.000 non avrà alcun interesse ad utilizzarla per fare acquisti, ed allo stesso modo nessun commerciante sarà propenso ad accettarla.
Ad oggi sono state create 16,1 milioni di Bitcoin (quindi tre quarti del totale), per un controvale ai prezzi odierni di oltre $14 miliardi. Ma non esiste solo Bitcoin, questo sito elenca almeno 60 crypto-currencies, senza contare quelle che non hanno le caratteristiche necessarie e sono semplicemente truffe.

Un’annotazione su blockchain
Il concetto di blockchain (il “public ledger”) è forse oggi più discusso della stessa Bitcoin: alla fine si tratta semplicemente di un modo per tenere conto di chi possiede cosa in maniera pubblica ed accessibile a tutti. Se pensate però che una normale banca fa poco più che conteggiare quanti soldi avete disponibili, allora blockchain è veramente disruptive (la parola preferita nel FinTech): qualsiasi azienda che si occupa di muovere soldi da A a B sarà prima o poi impattata dalla nuova tecnologia.

E contrariamente ad uno degli obiettivi iniziali (consentire l’accesso a tutti quelli non serviti da una banca e favorire pagamenti di piccole somme senza esose commissioni), per molti esperti l’utilizzo di blockchain è invece più prezioso nei grossi pagamenti, che rappresentano la maggioranza dei soldi che passano da una banca all’altra ogni giorno. Ad esempio, nelle operazioni di acquisto/vendita di azioni i soldi sono bloccati per due/tre giorni e date le somme in questione, anche pochi giorni significano enormi costi ed enormi rischi (vedi i problemi di rehypothecation seguenti il fallimento di Lehman Brothers). Blockchain potrebbe essere appunto la soluzione per migliorare l’efficienza di queste operazioni.

Il “valore” di Bitcoin
La mia impressione è che l’utilizzo principale di Bitcoin al momento è per speculare sulla crescita continua del prezzo piuttosto che come metodo più economico per trasferire soldi. Svariati articoli (ad esempio qui, qui e qui) sembrano supportare questa teoria.  

Personalmente non ho la minima idea di quale possa essere il valore equo di Bitcoin, e nemmeno come arrivare a determinarlo: per avere valore qualcosa deve essere usata in maniera generalizzata, e non solo trattata speculando sul suo aumento di prezzo. Non producendo cashflows, ritengo che non lo considererò mai come un investimento.

Per concludere, tre annotazioni:

  • Non posso certo ritenermi un esperto di Bitcoin (per chi volesse approfondire l’argomento il primo riferimento è senz’altro la Bitcoin Foundation): le cose che so sono meno di quelle che probabilmente non ho capito, soprattutto dal punto di vista tecnologico. Se ho detto qualche stupidaggine, fatemelo pure notare.
  • Al contrario, non sono invece particolarmente interessato a discussioni sui fondamentali dei sistemi monetari: per favore risparmiatemi i commenti su dove andrà il prezzo di Bitcoin o cosa succederà all’euro.
  • Per quelli che ritengono Bitcoin la versione digitale dell’oro: le mie opinioni personali sull’oro sono ben note e non ritengo che sia una protezione adeguata da eventi estremi (black swan). Ma sono, appunto, opinioni e non verità assolute: anche qui, per favore risparmiatemi i commenti su perché il prezzo dell’oro salirà. Se però pensate che il futuro dei mercati finanziari sarà uno scenario alla Mad Max, allora vi consiglio di fare scorta di carne in scatola e fucili a pompa, piuttosto che investire in oro o Bitcoin. 

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