mercoledì 1 febbraio 2017

Trump: “The art of the deal”

Mischiare politica ed investimenti non è in genere una buona proposizione. Tuttavia è indubbio che gli ultimi 12 mesi siano stati dominati dall’incertezza soprattutto sul lato politico, e buona fortuna a chiunque abbia tentato di posizionarsi basandosi sulle anticipazioni dei risultati elettorali!

Il principale “elephant in the room” rimane ovviamente Donald J. Trump. Per cercare di capire il suo impatto nei prossimi quattro anni sono partito dal suo primo libro, “The Art of the Deal”: pubblicato nel 1987 quando aveva 41 anni, è probabilmente il più autentico, un’introduzione diretta alla sua visione personale e professionale del mondo
(anche se, nonostante le sue solite esagerazioni, non è stato né scritto né pensato da lui).

Il libro comincia con la narrazione dettagliata di una sua tipica settimana, piena di incontri e telefonate con le persone più importanti degli anni 1980 (Ivan Boesky, Michael Milken, Calvin Klein, …), chiaramente un modo per impressionare da subito il lettore sulle conoscenze dell’allora non ancora famoso Donald.

Ovviamente, tutte le operazioni discusse da His Trumpness sono vincenti, come quando un investitore texano lo voleva coinvolgere in un consorzio per acquisire una piccola azienda estrattiva: Trump disse no, dopo pochi mesi il prezzo del petrolio crollò e quell’azienda fece bancarotta! Nell’unico “fallimento” descritto nel libro, quello della USFL (United States Football League, una concorrente della NFL), lui aveva naturalmente ragione, ha fatto tutto bene ed è andata male solo perché i giurati nella causa che aveva intentato alla NFL non gli hanno concesso quello che voleva. [Per una rilettura più realistica della sua esperienza decennale come businessman consiglio questo post, che copre dagli anni 1990 ad oggi.]

La seconda parte del libro è invece dedicata propriamente alla sua proverbiale abilità nel consumare una transazione.

  • Ammette di fidarsi molto del suo istinto e di non cominciare mai con un master plan ben strutturato
  • Ha un forte senso della famiglia, gli unici di cui ci si possa fidare: suo fratello già negli anni 1980 era uno dei maggiori manager delle sue aziende e mise la sua prima moglie Ivanka a capo dei casino di Atlantic City
  • Ha sempre utilizzato al massimo la leva, ma evitando il debito a livello personale e non investendo mai un centesimo di tasca propria all’inizio di un progetto. Ed il suo “use your leverage” non si riferisce solo a quella finanziaria: la cosa peggiore in un deal è mostrarsi debole o disperato, quella migliore è avere qualcosa che la controparte vuole.
  • Afferma di non essere un gambler ma anzi un investitore molto conservativo, e sembrerebbe professare una filosofia di tipo value: “protect the downside and the upside will take care of itself”. Questo è però in contrasto con l’uso disinvolto della leva e dei suoi svariati fallimenti. È anche vero che proprio per come sono state strutturate le operazioni lui ha sempre guadagnato qualcosa mentre a perderci sono stati gli altri investitori e finanziatori 
  • Le sue relazioni con la Russia cominciarono negli anni 1980 con l’ambasciatore russo a New York che lo invitò a costruire un hotel di lusso a Mosca
  • È ben conscio che le esagerazioni e l’aggressività sono i suoi punti di forza: le “controversie” sono un modo economico ed efficace di attirare l’attenzione e portare avanti le sue idee
  • Già nel 1987 si lamentava che i giapponesi stavano “approfittando” degli US grazie al loro surplus di bilancio: questa visione non è cambiata negli ultimi 30 anni
  • Ha una lunga esperienza nell’interagire con il mondo politico, che tuttavia non gli piace: non aveva una grande opinione di Reagan e soprattutto del socialista Francois Mitterand. Allo stesso modo non gli piacciono i consulenti (McKinsey)
  • Ha provato a fare il corporate raider come Icahn con Holiday Inn e Bally, ma poi ha preferito incassare velocemente i profitti piuttosto che fare un vero takeover
La sua visione degli affari – e oggi della politica - è molto chiara:
“My style of dealing is quite simple and straightforward. I aim very high, and then I just keep pushing and pushing and pushing to get what I’m after.” 
Tutti i suoi deal seguono infatti lo stesso copione:
  1. Esagera sempre le sue capacità di poter fare qualcosa o le caratteristiche delle sue proprietà
  2. Parla sempre male dei suoi concorrenti, sia che lo pensi veramente sia che lo usi come strategia di negoziazione
  3. Cerca sempre di ritagliarsi un qualche vantaggio: cambiamenti nei contratti all’ultimo minuto quando la controparte non può rifiutarsi, mettere gratis dei senzatetto nei suoi appartamenti per spingere gli altri residenti a lasciare il palazzo, …
In una parola, cerca sempre di essere il più bullo - nel senso letterale del termine - in qualsiasi trattativa. Se guardiamo alla sua campagna elettorale ed alle recenti azioni, è andata esattamente così. Prendiamo la NATO: ha cominciato dicendo che è inutile, per poi cercare di ottenere quello che effettivamente vuole, ovvero che l’Europa paghi di più per la sicurezza offerta dagli US. Lo stesso vale per i rapporti con l’Unione Europea: la sua specialità è dividere gli avversari (“Brexit is good for the UK”), con lo scopo di ottenere migliori condizioni per gli US. Quindi è probabile aspettarsi il supporto della nuova amministrazione US ai movimenti nazionalisti e populisti che stanno prendendo piede in Europa.

Conseguenze economiche della presidenza Trump
La mia personalissima opinione è che, a parte alcuni settori come banche ed energia che beneficeranno direttamente dai suoi “favori” (= minore regolamentazione), non sono sicuro che le sue politiche saranno un bene per i mercati US.

In primo luogo, la sua fissazione con “Make America Great Again” può effettivamente portare con la moral suasion (e benefici fiscali) a mantenere le aziende in US, ma non potrà “costringerle” ad assumere più lavoratori. Quello che succederà sarà ancora un maggior ricorso all’automazione per ridurre i costi, ed indovinate dove vengono prodotti la maggior parte dei robot utilizzati nell’industria? Esatto, proprio in Cina, perché questa ha investito pesantemente nell’automazione industriale e gli US invece no. 

Secondo, la sua ossessione con il deficit di bilancio (negli anni 1980 contro il Giappone, oggi contro Messico e Germania, accusata di volere un euro debole) non si coniuga con la sua intenzione di finanziare massicce infrastrutture ed abbassare le tasse. Quello che è più probabile accada è un’ulteriore espansione del debito americano, quindi tassi d’interesse più alti; se aggiungiamo inflazione in aumento e maggiore incertezza politica, questo non è per niente positivo per il dollaro e di riflesso per i mercati azionari americani.

Conclusioni
Indipendentemente dalle opinioni personali che ciascuno può avere, il libro è molto utile perché vi si ritrova tutto il Trump degli ultimi due anni.

Una cosa che traspare dalle storie raccontante nel libro, e della quale ci stiamo accorgendo in questi giorni, è che l’errore più grande che si può fare con Trump è di sottovalutarlo. All’inizio della sua carriera molti lo hanno sminuito solo perché ha “una grande bocca”, ma hanno poi dovuto arrendersi perché è molto ostinato, ricorda anche i minimi dettagli, ha una visione di lungo periodo e non abbandona mai una battaglia.

Una questione diversa è come posizionare i portafogli per approfittare delle sue azioni. Mentre tutti avevano previsto un crollo dei mercati azionari se avesse vinto, quello che abbiamo avuto è stato invece un massiccio rally. Almeno fino a questa settimana: è vero che non si può certo prendere un giorno come inizio di un trend, ma lunedì scorso l’indice S&P 500 ha avuto il maggior calo dalle elezioni. Che sia già finita la luna di miele con gli investitori?


La realtà è ben spiegata in questo articolo: cominciamo a prendere quello che Trump dice non solo sul serio, ma anche in senso letterale. Durante la campagna elettorale, la gran parte dei commentatori non lo presero sul serio (a cominciare dal fatto che potesse vincere) e si concentrarono invece sul fare le pulci a quello che diceva (fact checking). I suoi sostenitori, al contrario, lo presero sul serio ma non letteralmente: l’idea era che alla fine sarebbe stato comunque tenuto a freno dall’establishment repubblicano sui temi più controversi come immigrazione e trattati commerciali.

Adesso che ha cominciato a metter in pratica le sue promesse elettorali, ci stiamo accorgendo che dobbiamo invece prendere alla lettera quello che dice. Se la situazione è questa, aspettiamoci una vera e propria trade war.

PS: tutto sommato a noi potrebbe anche andare bene, questo infatti è quello che dice riguardo il successo della Trump Tower:

[…] a building the critics were sceptical before it was built, but which the public obviously liked. I’m not talking about the sort of person who inherited money 175 years ago and lives on 84th Street and Park Avenue. I’m talking about the wealthy Italian with the beautiful wife and the red Ferrari. Those people – the audience I was after – came to Trump Tower in droves.

9 commenti:

  1. mi rendo conto che la mia sia una lettura un po' provinciale, ma io vedo qualche analogia con Berlusconi. In primis la scarsa cura per l'equilibrio di bilancio e anzi una predilezione per il debito a favore della spesa pubblica, allocata di solito in maniera a dir poco inefficiente. Il mercato del debito privato negli US è senz'altro più efficiente del nostro, dove per salvarti devi fondare un partito. Però sugli effetti a livello valutario (USD) avrei qualche perplessità. Da una parte una simile mentalità a livello pubblico dovrebbe teoricamente indebolire la valuta, che ora però sta scontando da mesi i prossimi rialzi dei tassi. Obama ha di volta in volta alzato l'asticella del debito (ok, coi tassi a zero...) e il dollaro non ha fatto una piega, anzi. Forse Trump sarà il presidente che resterà col cerino acceso su una montagna di debito quando si parlera di rating o sostenibilità dello stesso; ma non solo per sua colpa. Quanto alle sue categorie di pensiero e alle sparate populiste per compiacere i suoi elettori non bostoniani, direi che è un tipo pericoloso politicamente, dunque anche per i valori di borsa.

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    1. Il paragone con Berlusconi lo hanno fatto anche gli americani, e ben prima che Trump fosse eletto.

      Sulle conseguenze per l’economia ed i mercati vedremo: gli americani, in aggregato, sono molto “sensibili” all’andamento del dollaro e della borsa, e quindi non saranno troppo ideologici se le cose andassero male.

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  2. "... un’ulteriore espansione del debito americano, quindi tassi d’interesse più alti; se aggiungiamo inflazione in aumento e maggiore incertezza politica, questo non è per niente positivo per il dollaro". Io credo che tassi d'interesse più alti avrebbero un effetto positivo sul dollaro e farebbero scendere i mercati. Penso la strada che proveranno a percorrere è quella fiscale e non monetaria ma gli effetti non tarderanno a farsi vedere. Grazie per l'interessante articolo.

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    1. Che gli attacchi alla FED siano propedeutici ad un periodo di tassi bassi e QE per sostenere maggior indebitamento?
      Il consigliere Bannon ha più volte espresso la volontà di agire in un contesto di bassi tassi per attuare il suo piano infrastrutturale!

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    2. In questi giorni ho letto tutto ed il suo contrario.

      La Yellen a dicembre ha dichiarato che vede i tassi della Fed al 3% nel 2019. L’obiettivo primario di Trump è di alzare la crescita nominale di almeno 1%, che implica maggiore inflazione e tassi d’interesse più alti: addirittura prima delle elezioni aveva già detto che la Fed era stata troppo riluttante ad alzare i tassi ed aveva rallentato l’economia per favorire i democratici.

      Tutto questo si scontra con alcune forze “secolari” (popolazione che invecchia, anche in EM; ineguaglianza sociale; crescita della produttività molto contenuta ed in diminuzione; …) che spingono invece per tassi bassi.

      Bannon, che non mi sembra comunque sia tra i consiglieri economici, invece li vuole bassi. In un certo senso ha ragione: appena eletti tutti i politici scoprono che preferiscono tassi bassi (o comunque non in rapido aumento)…

      Vedremo

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    3. Di Bannon mi è rimasta impressa questa frase: "With negative interest rates throughout the world, it’s the greatest opportunity to rebuild everything. Shipyards, ironworks, get them all jacked up. We’re just going to throw it up against the wall and see if it sticks. It will be as exciting as the 1930s, greater than the Reagan revolution — conservatives, plus populists, in an economic nationalist movement.”

      http://www.politico.com/story/2016/11/steve-bannon-trump-hollywood-reporter-interview-231624

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    4. giusto per aggiungere chiarezza…

      “The new administration’s plan for a large fiscal stimulus seems poorly designed, oddly timed, and very unlikely to produce the sustained strong growth that Trump claims he will provide. Even in the unlikely possibility that we do achieve the growth Trump is calling for, it is not obvious that it would be the boon to the stock market that investors seem to think. The fiscal stimulus does, however, seem likely to lead to tighter monetary policy and has a reasonable chance of leading to rising inflation.” (Ben Inker, GMO)

      “Should Dollar Rise or Fall? The Trump Team’s Message Is Garbled” (https://www.nytimes.com/2017/02/02/upshot/should-dollar-rise-or-fall-the-trump-teams-message-is-garbled.html)

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  3. Ma l'inflazione non è positiva per uno stato indebitato?

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    1. Positiva per chi ha debiti nominali (come gli stati), perchè ne riduce il valore reale, negativa per i consumatori e le aziende (almeno quelle che non riescono a "passarla" ai clienti finali)

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