venerdì 3 febbraio 2017

“Don’t be a yield pig” (III) – Exxon

Lo scorso settembre ho scritto un paio di post sulle oil majors (qui e qui), le cui conclusioni erano che il settore non sembrava così cheap come molti asseriscono, e che molte aziende avevano bisogno di prezzi del petrolio ben superiori per giustificare le loro valutazioni (all’epoca era attorno a $47, oggi è salito $53).

In particolare, riprendendo un articolo del Financial Times, nel secondo post dicevo: 
“La SEC vuole avere maggiori informazioni sulla valutazione che Exxon fa dei suoi assets, ovvero del book value. […] Nel 2015 Shell ha contabilizzato impairments per $8,4 miliardi (4% degli assets), e lo stesso ha fatto Chevron per $4,7 miliardi (3% degli assets). Al contrario, Exxon ha avuto impairments di soli $1 miliardo dal 2008 ad oggi.”
Presentando tre giorni fa i risultati del quarto trimestre 2016, Exxon è dovuta capitolare e svalutare di $2 miliardi alcuni giacimenti di gas: si è trattato del nono trimestre consecutivo di utili in diminuzione, e pochi giorni prima Chevron aveva annunciato il primo rosso dal 2001. Nonostante questo, la maggior parte degli analisti continuano ad essere “sorpresi” da questi risultati: 
“The per-share result was more than 40 percent lower than the average estimate of 21 analysts in a Bloomberg survey, the widest gap since at least 2006.”
Non solo: se i prezzi rimangono più o meno ai livelli attuali, Exxon potrebbe essere costretta a svalutare quasi un quinto delle proprie riserve, visto che ai prezzi attuali sono non sfruttabili in maniera redditizia:
“About 3.6 billion barrels of reserves in the Canadian oil sands and the equivalent of another 1 billion barrels in other North American fields could fall off the company’s books if low energy prices persisted, Exxon said in October. That would equate to 19 percent of Exxon’s reserves and would be the largest de-booking since the 1999 merger that created the company in its modern form. Woodbury said an undefined portion of those revisions would be offset by new additions.”
Con la produzione annuale che è diminuita di 3%, non è chiaro da dove potrebbero venire queste nuove riserve.

L’altro punto sottolineato nei post di settembre era che le super-majors sembrano in una fase di auto-liquidazione, visto che continuano a restituire agli azionisti più di quello che l’attività operativa genera. Secondo le stime del management, il capex di Exxon nel 2017 sarà infatti di $22 miliardi (+14% rispetto al 2016), e quasi identico ai $22,1 miliardi di cash flow from operations appena registrati (pag. 19 della presentazione agli analisti). Le distribuzioni agli azionisti (dividendi e buyback) sono sempre più finanziate con debito, o con la vendita di assets, che però è l’opposto di cercare di rimpiazzare le riserve.

Come ripetuto spesso, non ho la minima idea di come si muoverà il prezzo del petrolio, e non sto dicendo che le azioni delle majors crolleranno o saranno costrette a tagliare i dividendi. 

Quello che so è che molti (leggi: tutti quelli che comprano ETF che hanno XOM, RDS, CVX, … come significative posizioni) sembrano scommettere su una veloce e sostenuta ripresa: altrimenti non si spiega come queste azioni possano essere un affare a P/E correnti di 35x-40x e ad un P/BV di 2x. L’opzione sul rialzo del petrolio non è “gratuita”, ma viene pagata dalla costante riduzione dello stock di capitale.

1 commento:

  1. Vero è che le oil company pagano alti rendimenti da anni non sospetti, ma ora chi vorrebbe un CEO così fesso da buttare i soldi in questo modo? Visti i p/e & book value del settore, a me pare che l'elevato yield di questi titoli sia un malcelato tentativo dei management per trattenere gli investitori in quel settore con la carota del dividendo. Se poi ci sono alte partecipazioni statali in una società petrolifera e lo Stato stesso ha bisogno di rendimenti per finanziarsi, la pressione politica nelle scelte di bilancio è "molto probabile".

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