martedì 21 febbraio 2017

“Don’t be a yield pig” (IV) – Statoil & peak oil

Dopo Exxon, anche la norvegese Statoil ha annunciato grossi impairments con i risultati del 2016. Dall’articolo del Financial Times
“Statoil lowered its long-term oil price outlook for Brent crude to $75 per barrel in 2020, from a previous forecast for $83, and $80 in 2030, compared with $100 before.

This forced the group to reduce the valuation of its oil and gas reserves, prompting the impairment which caused an unexpected fourth-quarter loss.”

Questo è l’intero set di assunzioni utilizzate oggi da Statoil (tra parentesi il valore usato in precedenza).
Non sono riuscito a trovare la curva completa fino al 2030, ma al momento di scrivere il prezzo forward del Brent per dicembre 2020 è circa $55 e di $59 per dicembre 2024. Questo significa che Statoil sta utilizzando prezzi superiori di almeno 35% rispetto al mercato per giustificare il valore dei suoi assets. Va inoltre aggiunto che l’impatto dei prezzi del petrolio sulle valutazioni fatte con un DCF non è lineare: per i produttori con costi di estrazione elevati come Statoil, gran parte delle riserve non hanno valore economico ai prezzi forward attuali, e tutto quello che rimane è un’opzione sul rialzo del petrolio.

È vero che i prezzi forward delle commodities non sono lo stesso del prezzo effettivo che ci sarà tra 5 o 10 anni, e che spesso non sono stime unbiased dei prezzi futuri (almeno dal punto di vista finanziario), ma è comunque significativo che le stime del valore attuale degli assets siano fatte deviando in maniera così marcata dai prezzi di mercato. È possibile che gli auditors delle majors permettano questa contabilità? Si, perché questa mentalità bullish sul prezzo del petrolio è alquanto diffusa.

Riflettendo sulle possibili ragioni, quella che mi sembra più concreta è la vecchia teoria del peak oil. Non importa che dopo decadi di previsioni apocalittiche sulla fine delle riserve petrolifere questa teoria sia state ampiamente smentita, il petrolio rimane una risorsa finita dal lato dell’offerta e per molti questo si traduce in un futuro nel quale potrà essere solo razionata e quindi prezzi molto più alti.

Quello che manca a questa teoria semplicistica è l’altro lato dell’equazione, ovvero quello della domanda. I prezzi di mercato riflettono quello che i partecipanti sono disposti a pagare per soddisfare i bisogni correnti, mentre le necessità future sono scontate usando le curve di preferenza. Le preferenze temporali sono il motivo per il quale gli eventi che accadranno tra 30 o 50 anni non possono essere usati per spiegare i movimenti di prezzo nei prossimi 12 o 36 mesi.

Quindi, qual è la probabilità che il petrolio scarseggerà nei prossimi anni? Molto bassa, secondo le stime di BP (pag. 50):

Come si può vedere, le riserve provate di petrolio sono aumentate in maniera costante negli ultimi anni (raddoppiate dal 1980), tanto che la stima di quelle tecnicamente recuperabili è più del doppio della domanda cumulata per i prossimi 35 anni. È vero come detto prima che non tutte queste riserve hanno un valore economico ai prezzi correnti, ma la loro semplice esistenza rappresenta comunque un tetto a quanto i prezzi possono salire. Non solo: praticamente tutta la domanda cumulata può essere coperta dalle sole riserve del Medio Oriente e dell’ex Unione Sovietica, che (con l’eccezione della Siberia) sono tipicamente giacimenti con bassi costi di estrazione.

So che la mia può sembrare un’ossessione, ma ripeto ancora le mie conclusioni: attenzione a basare le decisioni di investimento (dirette ed indirette) per il settore energetico soltanto su un rapido e duraturo rialzo dei prezzi.

1 commento:

  1. articolo come sempre pieno di spunti interessanti
    in particolare la distinzione tra il prezzo della curva forward e le aspettative del mercato; la divergenza di queste due è ampia, a mio parere molte società inglobano già nelle loro stime un ulteriore taglio della produzione dell'oro nero. Nonostante il miglioramento del prezzo, diverse aziende operanti nello shipping e nel drilling hanno ancora enormi problematiche, in particolare devono affrontare debiti enormi che con i tassi in risalita. L'unione tra tassi d'interesse in risalita e un prezzo del petrolio non sueriore a 60 dollari a barile potrebbe causare diversi effetti collaterali sia alle 6 sorelle che alle atre società dell'indotto.

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