Aston Martin Lagonda (AML:LN) è la famosa casa automobilistica britannica produttrice delle auto sportive tanto amate da James Bond. Nonostante il marchio molto conosciuto, ha fatto bancarotta ben 7 volte nel corso di poco più di 100 anni di storia e fino ad un paio di anni fa perdeva milioni di sterline.
Fondata a Londra nel 1913, rimase indipendente fino al 1987 quando fu acquistata da Ford per poi essere rivenduta nel 2007 ad un consorzio di investitori kuwaitiani (Investment Dar e Adeem Investment) per £480 milioni. Nel 2013 il fondo di private equity italiano Investindustrial e Daimler hanno acquisito partecipazioni significative, rispettivamente 37,5% e 4,9% (pre-quotazione).
Dal 2014, anno nel quale è stato installato come nuovo CEO l’ex dirigente Nissan Andy Palmer, l’azienda ha tentato un’ulteriore ristrutturazione con l'intento di “ringiovanire” l’offerta introducendo un nuovo modello ogni anno: il primo veicolo lanciato è stata la DB11 nel 2017, seguito dalla DBS Superleggera nel 2018 e dal DBX SUV in uscita entro fine anno.
Negli ultimi anni l'industria automobilistica di lusso ha avuto il vento alle spalle grazie alle politiche di quantitative easing ed alla crescita del credito in Cina che hanno spinto verso l'alto i prezzi dei beni di alta gamma: per le Aston Martin classiche i valori si sono moltiplicati 3x in un solo decennio.
Lo scorso ottobre l’azienda è ritornata sul mercato ad un prezzo di offerta di £19 ed una capitalizzazione iniziale di £4,3 miliardi: non ha più rivisto il livello dell’IPO ed è scesa fino alle attuali £8.
Si tratta quindi di un’opportunità di comprare ad uno sconto di 60% rispetto al prezzo di quotazione? In realtà rimangono molti interrogativi.
Red flag #1. Nonostante l’elevato debito, l’IPO non ha raccolto nuovi capitali per finanziarie la crescita: al contrario, tutte le azioni vendute venivano dagli investitori esistenti (circa 25% del totale). Questo sembrerebbe suggerire che hanno ritenuto che il titolo non fosse certo sottovalutato: i kuwaitiani hanno tra l’altro ottenuto un rendimento di 10x sul loro investimento in poco più di un decennio.
Red flag #2. Prima dell'IPO, il consiglio d’amministrazione ha stabilito politiche contabili e retributive che sembrano impostate per massimizzare il rendimento dei venditori piuttosto che gli interessi dei nuovi azionisti di minoranza. Ad esempio, il bonus annuale del CEO è dato al 40% da Adjusted EBITDA, al 40% dalla leva finanziaria netta (che a sua volta è una funzione di Adjusted EBITDA) ed al 20% dal raggiungimento di una serie di obiettivi strategici. Non sorprende che nel bilancio tutte queste metriche siano presentate in una luce molto favorevole.
Red flag #3. Aston Martin non è propriamente un’azienda growth: è vero che i volumi di vendita degli ultimi anni sembrano impressionanti (da 3.600 veicoli nel 2015 a oltre 6.400 nel 2018: ma erano oltre 7.000 nel 2007 e per il 2019 le nuove previsioni sono per 6.300-6.500), ma la reale redditività rimane mediocre. Prima dell'IPO, AML si è accordata con Standard Chartered Bank per fornire liquidità aggiuntiva ai concessionari che desiderano acquistare le sue auto: prima i concessionari dovevano pagare i loro ordini entro 10 giorni dalla consegna.
“Aston Martin Lagonda also has a wholesale finance facility to provide additional liquidity under which dealers have individually agreed credit limits with Standard Chartered Bank to an aggregate of £150 million. The wholesale finance facility is a global facility, pursuant to which Aston Martin Lagonda and AMLNA offer to Standard Chartered Bank certain receivables owing to them by dealers who have acquired Aston Martin Lagonda’s cars from them on credit terms not exceeding 270 days from the date of despatch. The Group’s wholesale finance facility is treated as an off-balance sheet arrangement.”Il ciclo del capitale circolante sembra molto erratico di anno in anno, con un marcato peggioramento nel 2018: i crediti verso clienti sono aumentati di +165% rispetto ad un fatturato salito di solo +25%, e non perché i concessionari abbiano problemi a pagare (gli accantonamenti per crediti inesigibili sono infatti diminuiti).
Red flag #4. La contabilità della società sembra essere diventata sempre più aggressiva, in primo luogo nel riconoscimento delle vendite ai concessionari. Non solo, quasi tutti i costi di ricerca e sviluppo sono capitalizzati: nel 2018 ha speso £214 milioni in R&D, ma solo £12 milioni sono stati riconosciuti tra le spese (5%). Al contrario, per Ferrari il 62% di R&D è immediatamente spesato nel conto economico.
Parte del recupero di ROIC negli anni 2017 e 2018 è certamente dovuto a questi due fattori: finanziamento delle concessionarie (capitale circolante) e capitalizzazione di R&D. Come si vede nel grafico seguente, nel 2017 gli investimenti per R&D sono quasi raddoppiati, ma le spese riportate in conto economico e gli ammortamenti degli intangibles sono diminuiti di £40 milioni. L'ammortamento delle spese capitalizzate per intangibles dovrebbe iniziare quando un bene diviene disponibile all'uso, e in quegli anni sono state introdotte sia la DB11 che la DBS Superleggera.
Altri aggiustamenti contabili fatti negli anni:
- Nel 2018 ha beneficiato di "proventi da consulenze" per £20 milioni di sterline dalla vendita di alcune proprietà intellettuali, che non si ripeteranno nel 2019.
- Nel 2017, c'è stato un guadagno una tantum dalla modifica della politica sui contributi previdenziali che ha portato alla riduzione degli obblighi pensionistici futuri: per il 2017, questo ha comportato un aumento contabile dei profitti di £24 milioni.
- Il tasso di sconto utilizzato per testare il valore dell'avviamento e di altri beni immateriali a vita indefinita (marchi, ecc.) è stato ridotto da 12,3% nel 2017 a 8,8% nel 2018: questo ha avuto l'effetto di ridurre la probabilità di dover fare un write-down dei beni immateriali.
Valori in milioni di sterline.
Assumendo la media degli ultimi due anni, la leva finanziaria diventa 6x-7x: questa è una società altamente indebitata rispetto ad EBITDA (e sappiamo che depreciation per le aziende automobilistiche è una voce molto reale anche se non monetaria).
Quanto può valere?
Ai prezzi correnti, AML tratta ad un multiplo P/E di 37x (sugli utili 2018, difficilmente replicabili nel 2019), più a buon mercato di Ferrari (P/E di 44x): ma come detto, gli utili “contabili” sono altamente sospetti.
Su molte altre metriche l’azienda inglese tratta ad un significativo sconto rispetto a quella italiana, ad esempio EV/Sales (2,2x vs. 8,6x) o EV/EBIT (19x vs. 36x). Visto il recente successo di Ferrari, lo scorso anno Aston Martin è stata venduta sull’ipotesi che avrebbe dovuto trattare a multipli simili: la non trascurabile differenza è che i margini operativi di Ferrari sono 20%-24%, mentre quelli di Aston Martin - opportunamente corretti - sono probabilmente prossimi allo zero. Ferrari guadagna circa €80.000 per ogni veicolo venduto, mentre Aston Martin è più vicina all’equivalente di $10.000.
Nel 2007 i fondi kuwaitiani comprarono ad un multiplo EV/sales di 0,9x: da allora sono state fatte varie ristrutturazioni, ma la profittabilità non è cambiata molto. Assumendo che AML possa trattare tra 1x e 1,5x (generoso), al fatturato atteso per il 2019 questo si traduce in un enterprise value di £1,2 - £1,8 miliardi; sottraendo £590 milioni di debito netto l’equity potrebbe valere tra £575 milioni (£2,5/azione) e £1.150 milioni (£5,1/azione) rispetto ad una capitalizzazione odierna di £1.800 milioni (£7,75/azione).
Conclusioni
È chiaro che il mercato non abbia gradito la quotazione iniziale ed ancora di più le ultime previsioni: sembra che il recente turnaround sia dovuto più a manovre contabili aggressive che ad un reale miglioramento nel business.
Lo sviluppo di nuovi veicoli è molto costoso, e come produttore di nicchia per Aston Martin è difficile raggiungere i volumi necessari per ridurre i costi per veicolo: l’introduzione del modello Lagonda EV sembra ancora più rischioso. E quando (non se) la società sarà costretta a spesare più R&D, i £450 milioni di EBITDA previsti da Bloomberg per il 2020 (almeno fino a ieri..) dovranno essere rivisti molto al ribasso.
A questo potrebbero aggiungersi ulteriori vendite da parte degli azionisti di controllo, in quanto il lock-up è scaduto ad aprile. Non è chiaro se abbiano già venduto o se siano intenzionati a farlo (probabilmente non ai prezzi correnti), ma va notato che Investindustrial possiede le sue azioni tramite il fondo Investindustrial V, creato nel 2012: poiché il suo orizzonte temporale è di 7-10 anni, questo implicherebbe un’uscita tra il 2019 ed il 2022 (come confronto, Investindustrial ha comprato una partecipazione in Ducati nel 2006 e l’ha rivenduta ad Audi dopo 6 anni nel 2012).
La tesi potrebbe riassumersi così: ottime auto, ma non un buon affare. I veicoli di Aston Martin sono eccellenti, ma l’azienda non ha mostrato la capacità di migliorare i fondamentali unitari. Con la redditività che rimane mediocre, alla fine sarà costretta a “correggere” anche la sua contabilità.
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