venerdì 26 marzo 2021

Coinbase

[Nota: tranne qualche accenno, questo non è un post su Bitcoin e la sua utilità, bensì sul business di Coinbase]

Qualche settimana fa Coinbase ha depositato il filing S-1 per uno dei debutti più attesi del 2021 (il ticker dovrebbe essere COIN): la strada scelta non è quella delle tradizionale IPO bensì del direct listing, già usata in passato da Palantir, Spotify ed altre. Con una valutazione attesa di $100 miliardi, la sua capitalizzazione sarà superiore a tutti gli altri exchanges americani: CME Group $74 mld, Intercontinental Exchange $63 mld e Nasdaq $24 mld.

Indipendentemente dalle opinioni personali sui crypto-assets, è un’operazione da monitorare: a partire dalla de-mutualizzazione del Chicago Mercantile Exchange e le varie IPO ai primi anni 2000, tutti gli exchanges hanno avuto performance superiori a S&P 500 (con l’eccezione di CBOE Global Markets, il vecchio Chicago Board Options Exchange).

Fondata nel 2012, il pitch iniziale di Coinbase era di presentarsi come “the easiest way to get started with Bitcoin”, che rimane una parte fondamentale della sua storia oggi. Non è stata la prima azienda a permettere gli acquisti di Bitcoin (la finlandese LocalBitcoins è stato forse il primo peer-to-peer marketplace), e c’erano altre piattaforme come Mt.Gox che permettevano il trading di BTC.

Investitori
Coinbase ha due classi di azioni (A e B), con le prime che hanno un voto per azione e le seconde a 20 voti ma stessi diritti su eventuali dividendi.

Contando le due classi, il management ed i membri del board possiedono complessivamente il 51% delle azioni ma il 54% dei diritti di voto: tra questi il CEO Brian Armstrong ha ~19%, il co-fondatore Frederick Ehrsam 8,4% ed i venture capitalists Marc Andreesen e Fred Wilson hanno, rispettivamente, 14% e 6,6%. Seguono altri fondi di venture capital, tra i quali: Andreesen Horowitz (14%), Union Square Ventures (6,6%) e Ribbit Capital (5,7%), mentre il rimanente sono Restricted Stock Units (RSU) destinate a dipendenti.

Business model
Cos’è esattamente Coinbase: una borsa? Un broker? Una banca? O la divisione commerciale di una religione?

Nel senso più stretto, è sicuramente un exchange: un mercato nel quale si possono acquistare e vendere criptovalute. Ma è anche un broker che custodisce i crypto-assets dei clienti, e come tutti i broker-dealer facilita le contrattazioni spesso inserendosi sull’altro lato di una transazione per fornire liquidità. Volendo si potrebbe pensarla anche come una banca, perché in fondo la maggior parte delle cripto-valute aspira a diventare moneta corrente: se le criptovalute sono abbastanza simili a fiat currency, allora COIN è principalmente una banca che mantiene il 100% dei depositi in contanti e che addebita commissioni per il cambio di valuta e altri servizi.

Coinbase è un po’ di tutto questo: controlla l’accesso agli investimenti dei clienti retail (come Schwab, TD Ameritrade e Robinhood); funge da custodian (come State Street e BNY Mellon); favorisce i pagamenti (come Visa, Mastercard e PayPal); e possiede l’attività propria di scambio (come NYSE e Nasdaq).

Oggi la piattaforma comprende 43 milioni di clienti retail, 7.000 istituzionali e 115.000 partner in oltre 100 paesi.
  • Retail: offre un servizio completo per partecipare alla cripto-economia, una piattaforma sicura e affidabile per investire, custodire e spendere le criptovalute
  • Istituzionali: uno “sportello” unico per fondi, gestori ed aziende per l’accesso ai mercati delle criptovalute. L’esempio riportato nel filing è quello di One River Asset Management, un hedge fund global macro, che ha usato COIN per iniziare una significativa allocazione a crypto-assets in maniera anonima in soli cinque giorni 
  • Partner dell’ecosistema: permette a sviluppatori ed emittenti di partecipare attivamente alle reti digitali e accettare in modo sicuro le criptovalute come pagamento.
Invest: per acquistare e vendere 45 cripto-valute contro USD, GBP, EUR, CAD e SGP (fiat-to-crypto trading) e per scambiarle tra di loro (crypto-to-crypto trading). Il servizio base, Coinbase Exchange, è un’interfaccia semplificata per i nuovi clienti: le commissioni di transazione relativamente elevate lo rendono adatto a chi vuole investire per il lungo periodo. Per clienti più sofisticati c’è Coinbase Pro, una API aperta che permette anche di creare algoritmi di trading. Pro ha commissioni minime più basse (0,5% rispetto a 1,49% di Exchange), ma sempre superiori a quelle di molti competitors (che sono tra 0,1% e 0,3%).

Spend: Coinbase Card, lanciata nel 2019 in collaborazione con Visa e per il momento disponibile solo in UK ed alcuni paesi europei, è una carta di debito che permette di pagare presso qualsiasi negozio convenzionato con Visa con le criptovalute depositate sul proprio conto. La transazione viene fatta nella valuta locale (ad esempio, GBP) e COIN automaticamente vende la criptovaluta per finanziare l’acquisto.

Send & Receive: per inviare criptovalute a qualsiasi portafoglio a livello globale attraverso i servizi di pagamento peer-to-peer.

Store: una soluzione di custodia altamente sicura per gli investitori istituzionali (per quelli retail è implicita nel wallet di Invest), resa disponibile attraverso una rete di custodian negli US che offrono audit, governance, gestione delle chiavi digitali e sicurezza fisica. Nel mondo di cripto non c’è un ente centrale (banca, broker, azienda emittente, …) che tiene traccia di chi possiede cosa; i tokens funzionano come beni al portatore (chi ha la chiave crittografica è il proprietario), e quindi la loro archiviazione e custodia è di fondamentale importanza.

Save: l’equivalente di un libretto di risparmio, offre un tasso d’interesse (che Coinbase chiama “rewards”) spostando le criptovalute su prodotti basati su due stablecoin che seguono il valore di USD: USD Coin (emessa da Circle ed ancorata 1:1 al dollaro) e Dai

Stake: i clienti possono designare una certa quantità delle loro risorse come “stake” (simile a un deposito cauzionale) per convalidare le transazioni su blockchain e ricevere ricompense “in natura” (i.e., altre criptovalute) dalla rete.

Borrow & Lend: un prestito di 12 mesi in USD usando come garanzia il proprio portafoglio di criptovalute.

Ad oggi COIN supporta 45 crypto-assets come trading e oltre 90 in custodia.
Mercato di riferimento
Fortunatamente, il prospetto contiene non solo un lungo e dettagliato glossario dei termini propri del mondo cripto, ma anche molti grafici e statistiche sul mercato delle criptovalute.

Il numero di verified users di COIN (definiti come entità – retail o istituzionali – che hanno creato un account sulla piattaforma) è in crescita costante ed ha oggi raggiunto 43 milioni: questo può essere pensato come il numero di investitori/clienti che sono interessati a trattare cypto-assets.
In aggiunta, Coinbase fornisce anche il numero dei Monthly Transacting Users (MTU), ossia i clienti retail che hanno effettuato almeno una transazione nel corso di un mese. Come si può vedere dal grafico seguente, MTU è storicamente molto correlato sia con il prezzo di Bitcoin che con la sua volatilità: dopo l’euforia del 2017 ed il crollo del 2018 (BTC ed Ethereum ETH crollarono rispettivamente di 74% e 82%) ci sono voluti quasi tre anni, ed un altro periodo di euforia, perché COIN superasse il livello di MTU raggiunto nel picco precedente.
Crypto Asset Volatility è una misura interna della volatilità su base oraria su intervalli di 10 minuti per ogni criptovaluta supportata da COIN (usando una media ponderata del loro volume di trading).

Ancora più importanti sono gli assets sulla piattaforma, l’equivalente in USD sia delle valute fiat che di quelle cripto detenute o gestite in portafogli digitali, inclusi i servizi di custodia: non solo il totale è balzato alla fine del 2020 all’equivalente di $90 miliardi, ma la quota di criptovalute a livello globale trattate su Coinbase è salita da 4,5% due anni fa a 11% oggi.

Quota della capitalizzazione di mercato di crypto-assets detenuta su COIN.

Infine, il volume di transazioni misurato in USD, che di nuovo è altamente correlato sia con il prezzo che con la volatilità delle criptovalute.
Storicamente, sia gli assets sulla piattaforma (primo grafico, Store) che il volume di transazioni (secondo grafico, Trade) sono legati in prevalenza a BTC e ETH, anche se il 2020 ha visto l’esplosione del trading su altre criptovalute.

Oggi Coinbase è la piattaforma dominante negli US, ma non è sempre stato così: la sua quota di mercato è cresciuta a partire dalla fine del 2017 sottraendola alla rivale Bittrex.
www.theblockcrypto.com/data/crypto-markets/spot/cryptocurrency-exchange-volume-monthly

Anche se può sembrare paradossale, COIN deve gran parte del suo successo ad un concorrente, e precisamente all’introduzione da parte di CME Group dei futures su BTC (ed in seguito anche su ETH) a dicembre 2017, evento che ha aperto l’enorme mercato istituzionale disponibile oggi.
Il mercato dei futures è quasi esclusivamente istituzionale: un contratto equivale a 5 Bitcoin (~$280.000 di nozionale) ed i trader devono postare elevati importi come margine data la volatilità di BTC. Il contratto è regolato in contanti, che significa che i trader non necessitano “fisicamente” di BTC per scambiarlo. E dove si possono fare gli arbitraggi tra prezzi spot e future? Sui mercati più liquidi e con i maggiori volumi di scambio che offrono al contempo un track record impeccabile di assenza di manipolazioni: Coinbase è di gran lunga il leader sotto questo aspetto, e beneficia delle attività degli high frequency trader (HFT) che scaricano le proprie posizioni ai clienti retail. Senza il mercato dei futures di CME, i clienti istituzionali non sarebbero in grado di scambiare BTC liberamente e con le stesse magnitudini, e HFT non avrebbe un modo semplice per effettuare gli arbitraggi. I volumi e la quota di mercato su Coinbase non sarebbero neanche lontanamente quelli che sono oggi.

Qualche numero
La prima cosa da dire è che COIN è una rarità nel mondo degli unicorni: è infatti un’azienda in iper-crescita che tuttavia registra dei profitti (almeno lo scorso anno): ha infatti chiuso il 2020 con utili di $322 milioni su un fatturato di circa $1,3 mld. (Preferisco evitare le misure di Adjusted EBITDA riportate dal management).
Il fatturato è così composto:

  • Commissioni di transazione (86% del fatturato): come per qualsiasi exchange, la maggior parte delle entrate vengono dall’interagire con il sistema: quando i clienti trattano criptovalute tramite l’app di Coinbase viene addebitata loro una percentuale del nozionale scambiato a seconda dell’asset e delle dimensioni della transazione. Il servizio principale di Coinbase è infatti quello di fornire liquidità: la possibilità di acquistare o vendere in modo conveniente e con un’esecuzione quasi istantanea.
  • Custodia (1,5%): i clienti pagano una commissione giornaliera sulla base del valore di queste attività detenute in custodia. Bitcoin Trust di Grayscale, il più grande ETF su criptovalute con oltre $13 miliardi di AUM, è un cliente.
  • Staking (<1%): commissioni per il supporto di blockchain sottostante alcune criptovalute (convalida delle transazioni, …)
  • Earn campaign (<1%): COIN riceve una commissione dai partners che vogliono utilizzare la piattaforma per postare video ed altre attività educative sulle criptovalute
  • Altro (11%): questa voce include i guadagni dalla vendita di criptovalute detenute in conto proprio, le licenze e la vendita di dati, e gli interessi attivi sulla liquidità.
Con $1,1 mld di transaction revenues e $193 miliardi di volumi, COIN cattura una commissione media di 0,57% su ogni transazione (0,58% nel 2019). Considerando che 11% del valore di mercato delle criptovalute passa attraverso la sua piattaforma, si tratta di un pedaggio molto redditizio. Ma è anche molto sensibile al valore delle criptovalute: oltre alle sfide operative e normative, Coinbase dovrà anche gestire la volatilità dei suoi ricavi.  

Mentre fino al 2018 i clienti retail dominavano i volumi di transazione (72%), oggi la situazione si è capovolta e sono invece quelli istituzionali a prevalere (62% dei volumi). Tuttavia, vi è un’enorme disparità in termini di costi: i clienti retail sono infatti responsabili del 95% dei ricavi da commissioni, pagando una commissione media lo scorso anno di 142bps (127bps nel 2019). I clienti istituzionali hanno pagato in media invece solo 5 bps (di per sé in diminuzione dai 7bps pagati nel 2019).
Come si paragonano questi costi rispetto ai tradizionali exchanges? Intercontinental Exchange, che gestisce NYSE ed altre borse finanziarie, nel 2020 ha riportato entrate di circa $2,6 miliardi da transazioni di cash equities; Nasdaq Inc., che gestisce il Nasdaq ed altri mercati, ha registrato nello stesso segmento entrate di circa $2,2 miliardi. Secondo CBOE Global Markets, Nasdaq e NYSE scambiano ciascuno attorno a $150 miliardi di azioni US al giorno: questo si traduce in commissioni medie per dollaro transato inferiori a 1bp (il costo può variare di anno in anno a seconda del mercato, dei volumi e del mix di investitori, ma siamo lì). Oggi COIN è 60 volte più redditizio delle borse azionarie, che spiega la capitalizzazione attesa e perché gli istituzionali pagano commissioni così basse (e perché retail paga invece così tanto: ma, hey, BTC è il futuro delle transazioni istantanea ed a costo nullo…).

Concorrenti
La cripto-economia è altamente frammentata, in rapida evoluzione e competitiva.

Concorrenti diretti. Il primo è sicuramente la cinese Binance: fondata nel 2017, registra $30 mld di transazioni ogni giorno (se ci fidiamo delle sue statistiche). In gran parte questo è dovuto alle commissioni molto più basse (0,10%) ed all’offerta più completa (ad es.: depositi in 15 valute, 150 criptovalute rispetto a 45 per COIN).

Nonostante tutte le piattaforme competano a livello globale, sembra tuttavia che siano emersi leader a livello più locale: Coinbase in US e parte dell’Europa; Binance, Huobi e OkCoin in Cina; Upbit e Bithumb in Corea; OKEx in molti paesi asiatici; Bitso in Sudamerica. Le criptovalute sono globali, le borse molto meno. Ed anche negli US la competizione è elevata: Gemini, Paxos, Kraken, Bitfinex e Bittrex. E mentre COIN è la scelta preferita dai neofiti, altri come Binance e Bitmex offrono servizi più sofisticati come leva e derivati (altri ancora offrono servizi meno “legali”).   

Fintech. Non solo i vari exchanges, anche molte start-up fintech offrono servizi simili. Square è stata la prima a permettere transazioni in BTC sulla sua CashApp; PayPal ha seguito da poco ed anche RobinHood ha aperto al cripto-trading, così come eToro. Allo stesso modo, player più tradizionali come TD Ameritrade stanno entrando nel mercato, e sempre più lo faranno se i volumi rimangono elevati.  
“For retail users, we compete with traditional financial technology and brokerage firms like Square, Robinhood, and PayPal, who have recently introduced crypto products and services. These companies have varying business models and focus areas and offer an overlapping, but limited, feature set, which includes buying and selling a subset of the crypto assets supported on our platform. In some cases, users who purchase through these platforms own the economic interest in a given crypto asset, but not the underlying asset itself, and therefore cannot use the asset to interact with the broader cryptoeconomy. We also compete with a number of companies that solely focus on the crypto market and have varying degrees of regulatory adherence, such as Binance.”
Decentralised finance. Anche ecosistemi emergenti che sfruttano piattaforme come Ethereum per abilitare servizi finanziari decentralizzati rappresentano un rischio competitivo per Coinbase. Questi progetti si basano sulle comunità Internet piuttosto che sui tradizionali intermediari, incarnando meglio lo spirito del movimento cripto.
“However, we do face significant competition from parties ranging from large, established financial incumbents to smaller, early stage financial technology providers and companies native to the cryptoeconomy, such as decentralized exchanges.”
Rischi ed altri punti “mmmhhhhh….”
I prospetti per la quotazione sono scritti dai legali e contengono sempre pagine e pagine di rischi potenziali (“Abbiamo scritto che un meteorite poteva impattare la terra e ridurre a zero il valore della nostra azienda, quindi non potete farci causa”).

Tuttavia, si possono trovano sempre parti interessanti, nel caso di COIN le avvertenze principali sono:
  • La concentrazione degli scambi in pochi clienti:
“[…] a significant amount of the Trading Volume on our platform is derived from a relatively small number of customers.”
  • Compliance potrebbe non essere il loro forte (?!?):
“many of our employees and service providers are accustomed to working at tech companies which generally do not maintain the same compliance customs and rules as financial services firms.
  • Due investigazioni da parte dei regulators, sia Commodity Futures Trading Commission che SEC:
“In July 2017, the Enforcement Division of the CFTC commenced an investigation that has covered topics including a 2017 Ethereum market event, trades made in 2017 by one of our then-current employees, the listing of Bitcoin Cash on our platform, and the design and operation of certain algorithmic functions related to liquidity management on our platform.”
“In addition, in December 2020, the SEC issued an investigative subpoena for documents and information about certain of our customer programs and operations”
  • Una sorta di “rassegnazione” che anche le aziende disruptive devono rispettare la legge (!):
We have become increasingly obligated to comply with the laws, rules, regulations, policies, and legal interpretations both of the jurisdictions in which we operate and those into which we offer services on a cross-border basis.”
Il management team è molto ben compensato: lo scorso anno il CEO Brian Armstrong ha ricevuto $60 milioni, $57m dei quali sotto forma di opzioni. Il prospetto è particolarmente scarno sui dettagli del suo pacchetto retributivo, spiegando soltanto che le soglie di rendimento per le opzioni sono “estremamente rigorose” e in linea con le aspettative degli azionisti: non molto trasparente per qualcuno che ha un quinto dei diritti di voto e che potrebbe ricevere un bonus di $1m al giorno per i prossimi 10 anni.

Altro punto controverso è il seguente:
“The Company held $48.9 million and $88.4 million of USDC as of December 31, 2020 and December 31, 2019, respectively.”
USD Coin (USDC) è una “fully collateralized US dollar stablecoin, based on the open source asset-backed stablecoin framework developed by Centre” che è promossa da Circle e dalla stessa Coinbase: sembra un po’ circolare. 

Infine, in maniera simile a quanto discusso per Square, COIN include tra le revenues $134 milioni derivanti dalla vendita di crypto-assets (~10% del fatturato totale); ma $132 milioni di questi sono “compensati” dal loro costo di acquisto. Il fatturato netto è quindi più vicino a $1,15 mld che $1,3 mld.

Valutazione
Con una capitalizzazione attesa di $100 miliardi, COIN sarebbe in linea con Goldman Sachs ($110 mld) e ben 7x quello che Morgan Stanley ha pagato lo scorso anno per E-Trade.

Con una liquidità netta di $950m, questo mette COIN ad un EV/sales di 85x. Come sempre, la domanda se sia un multiplo equo da pagare è una questione di prospettiva: per gli orsi è eccessivo, per i tori è giustificato dal continuo rialzo dei mercati sottostanti e dalle prospettive future.

Riducendola ai minimi termini, la tesi su Coinbase si basa su tre pilastri:
  1. Coinbase dominerà l’infrastruttura del mercato dei crypto-assets negli US
  2. Questi saranno una quota sempre crescente dell’economia reale
  3. E di conseguenza BTC ed ETH continueranno a rivalutarsi rispetto alle fiat currencies
Il primo è il più facile da discutere. È vero che la competizione è elevata e che ci sono dozzine di altri crypto-exchanges con volumi simili se non superiori a Coinbase che competono a livello mondiale. Ma nessuno di questi ha lo stesso appeal per i grandi investitori istituzionali, soprattutto in US. Il motivo è semplice: gli utenti devono avere fiducia nell’integrità dei mercati sui quali scambiano. Fin dall’inizio molti hanno operato sull’assunzione che poiché BTC non era regolato, tutto fosse legale e permesso; in realtà sappiamo che ci sono molte restrizioni riguardo chi può spostare i soldi (come, dove e quanti), e molte di queste piattaforme hanno finito per avere problemi con le loro banche o governi. Molte sono domiciliate in paradisi fiscali (tra i quali Malta e Seychelles) proprio per evitare lo scrutinio dei governi; Binance è stata colpita da hacker, oltre ad avere una struttura complicata per aggirare le regolamentazioni su BTC; mentre OKEx ha dovuto sospendere parte dell’attività a causa di investigazioni sulla sua condotta.  

Al contrario, Coinbase è domiciliata in US ed è supervisionata da SEC, CFTC e dai vari regulators in UK ed Europa: se aggiungiamo che non ha mai subito attacchi elettronici, è probabilmente la borsa più sicura ed affidabile per chi vuole un’esposizione alle criptovalute.  

Per i pilastri #2 e #3, qui è dove le opinioni degli “esperti” divergono maggiormente. Affinché la cripto-economia diventi una parte considerevole dell’economia reale è necessario che ci sia un motivo commerciale per le aziende per acquistare e vendere criptovalute come parte del loro normale corso degli affari. Tutti i mercati delle commodities hanno resistito alla prova del tempo perché hanno portato benefici alle aziende che li usano: il mercato del petrolio non è solo un modo per speculare sull’andamento del prezzo, sono produttori e raffinerie che li usano per programmare e gestire le proprie attività. Lo stesso vale per agricoltori e produttori nelle materie prime agricole.

Ma chi sono i partecipanti commerciali in cripto? Al momento molti pochi “consumano” Bitcoin, nel senso che li usano come forma di pagamento (Tesla ha appena annunciato che sarà possibile pagare le sue auto in BTC): è difficile vedere che BTC sarà usato per pagare la spesa al supermercato, a maggior ragione se chi li possiede li considera come un “tesoro” da accumulare visto che il prezzo va solo in su.

Coinbase beneficerebbe enormemente dall’approvazione di ETF su Bitcoin ed altre valute: sono già stati approvati in Canada e sono al momento in discussione in US, pochi giorni fa anche da parte di un gigante come Fidelity (Greyscale GBTC è formalmente un trust, non un ETF). Questo amplierebbe la platea di investitori interessati, ma le speranze degli adepti di Bitcoin che divenga la moneta di tutti i giorni sono probabilmente esagerate.
 
Conclusioni
Il successo di COIN è sicuramente legato a BTC ed alle altre valute.

Al momento COIN cattura una larga fetta del trading sulla sua piattaforma, ma il rischio è che queste piattaforme finiscano vittime del loro stesso successo: la tesi sulle criptovalute viene accettata da tutti, vengono trattate come un’altra asset class e la competizione riduce le commissioni come successo in campo azionario.

Il rischio principale rimane tuttavia di tipo regolamentare. In senso lato, maggior regolamentazione non è necessariamente un punto negativo: maggior fiducia nel sistema, negli intermediari, etc… vuol dire maggior consapevolezza da parte degli investitori, maggiore standardizzazione ed una più grande platea potenziale. Ma il rischio regolamentare incombe come una spada di Damocle: se l'azienda esegue perfettamente la sua strategia e le criptovalute sono bandite, vale comunque zero.

Se riteniamo esagerato il possibile divieto assoluto da parte de governi all’uso di BTC dato il loro enorme successo come afferma Ray Dalio, rimane il pericolo rappresentato dalle Central Bank Digital Currencies (CBDC), con la banca centrale cinese che si dice sia pronta ad introdurre il digital renmimbi prima della fine di quest’anno.

Dall’altro lato, essendo COIN più di un semplice exchange, l’adozione sempre più massiccia potrebbe portare all’espansione dei prodotti offerti: non solo la custodia, ma anche prestiti, replicando il successo dei retail broker nei mercati azionari e concedendo prestiti a margine contro le partecipazioni in criptovalute. Queste sono tutte fonti di entrate aggiuntive che sono una funzione degli assets detenuti sulla piattaforma.

A questo proposito, una manovra molto audace sarebbe quella di un’acquisizione: con una capitalizzazione di $100 miliardi sarebbe un delitto non usare le proprie azioni per comprarsi un exchange ben consolidato, persino Nasdaq con tutti i servizi aggiuntivi che offre.

4 commenti:

  1. bellissimo post. Il timing dell'Ipo è eccezionale per chi vende (beati loro...), per cui non parteciperò.
    Il rischio principale - a parer mio - è che le valute digitali perdano ogni componente speculativa e diventino un normale mezzo di scambio di beni e servizi.
    Una prima avvisaglia potrebbe essere la attuale presenza sul mercato di criptovalute già agganciate al Usd. Se poi gli Usa ne creano una di loro, sarebbe la normalità globale.

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    1. “le valute digitali perdano ogni componente speculativa e diventino un normale mezzo di scambio di beni e servizi”: questo è esattamente quello che i sostenitori di Bitcoin vorrebbero ma che difficilmente accadrà (e che alla fine farà perdere appeal a BTC).

      E come detto nel post, sono (saranno?) proprio le CBDC a svolgere questo ruolo di vera moneta digitale

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  2. I Verified Users sono aumentati di 13 milioni e i MTUs sono passati da 2.8 a 6.1 milioni nel Q1 2021 !!
    Una aumento notevole, bisogna però capire quanto il prezzo e la volatilità delle crypto influiranno davvero sul Trading Volume e quindi se questi risultati siano sostenibili nel tempo.

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    1. I numeri sono in effetti impressionanti, ma è difficile basare la valutazione sull’ultimo trimestre.

      I profitti vengono in gran parte dalle fees esorbitanti che applicano ai clienti retail, ma questo non può durare in eterno, visto che questa redditività sta attraendo molti concorrenti. Senza contare che queste fees sono a tutti gli effetti denominate in criptovalute, che permette una leva positiva in un mercato rialzista ma funzona al contrario in un mercato ribassista.

      COIN ha accumulato un ottimo vantaggio nell’infrastruttura (e quindi chi vuole investire dovrebbe guardare soprattutto a questo aspetto), ma sembra indietro nell’offrire tutti i servizi accessori (lending, derivati, …) che potrebbero invece offrire le banche.

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