giovedì 14 aprile 2016

Nella mente dell’investitore

Michele vuole essere un investitore informato, e legge quotidianamente Il Sole 24 Ore con interesse. Un giorno trova un articolo sulla presentazione che un famoso investitore ha fatto ad una conferenza: in un mondo nel quale siamo continuamente bombardati da segnali discordanti, è incoraggiante avere qualcuno come Robert Julianson che ci aiuta a trovare qualche idea di investimento. Robert ha infatti così illustrato la sua opinione su United Cocoa (UCOC):
“L’azienda ha una quota del 20% nel mercato della cioccolata organica”
“La recente acquisizione di piantagioni in Costa Rica ed Africa migliorerà ulteriormente le economie di scala”
“Se assumiamo che la divisione caffè (l’altra linea di business di UCOC) sia a break-even, stiamo pagando un multiplo EBITDA di solo 9x per un settore in costante crescita”
Michele è un po’ confuso: le informazioni sono forse troppo tecniche per il suo livello di conoscenza, ma è confortato dal fatto che il multiplo è basso e che le prospettive dell’azienda sembrano rosee. In più, Robert Julianson è un famoso gestore di hedge fund, al pari di Cooper Leonman e Paul Johnson: sicuramente avrà fatto delle ricerche ed analisi dettagliate prima di acquistare l’azione.

Michele continua a rimuginarci sopra, confrontando UCOC con lo “0% virgola qualcosa” che attualmente prende sulle obbligazioni che gli ha venduto la sua banca. E soprattutto pensa al suo collega d’ufficio, quel borioso che in due anni ha raddoppiato i suoi soldi investendo in Facebook. Non solo: Michele ha ricevuto pochi giorni fa il rendiconto per il 2015, e si è accorto che i suoi fondi hanno chiuso in leggera perdita nonostante molti mercati abbiano toccato i massimi. Non è così che dovrebbe funzionare!

Giorgia, la moglie di Michele, investe autonomamente i propri risparmi, e ha messo tutto in ETF. Nel corso dell’ultima crisi, i gestori dei suoi fondi le sono costati un sacco di soldi, ed ancora oggi continuano a sottoperformare il mercato; si è quindi convinta a ridurre almeno i costi, e si sente rassicurata dalla liquidità garantita dagli ETF e dal fatto che oggi offrono un’ampia scelta su qualsiasi investimento. Giorgia ha letto recentemente che il primo ministro indiano vuole spingere l’acceleratore delle riforme, e che quindi il paese diventerà il nuovo motore di crescita non solo asiatico ma mondiale. Non sa niente del mercato indiano, ma qual è l’alternativa? Tutti continuano a dire che i paesi emergenti sono gli unici con una crescita decente, e la Cina sta rischiando una crisi finanziaria. Le azioni di un paese in rapida crescita come l’India sono pertanto un ottimo complemento al suo portafoglio obbligazionario, più conservativo.

Il lunedì seguente, Michele continua a pensare a UCOC e visita vari forum e siti specializzati per vedere cosa dicono. Trova molti entusiasti che riportano le parole di Robert Julianson: il titolo pare proprio essere una gemma nascosta. In fondo i mercati sono spesso irrazionali, e qualcuno deve pur credere nel reale valore delle aziende. 

Quel pomeriggio, Michele incappa nel suo collega (“Ma come si fa a comprare Facebook ad un P/E di 80x!”). Discutendo di varie cose, quest’ultimo dice a Michele che recentemente ha scoperto un nuovo titolo: United Cocoa. Tutti oggi vogliono cibo organico, e se il tasso di penetrazione passasse anche solo dal 5% al 25% UCOC potrebbe moltiplicare il suo prezzo per 5x.

Michele è euforico: tutti stanno comprando UCOC, oggi l’azione è su del 5% ma tratta ancora ad un P/E di 10x. Non ha mai avuto maggior convinzione in un titolo (basso multiplo ed elevata crescita potenziale, esattamente quello che Warren Buffett dice di cercare) e quindi decide di entrare. Da quel momento, controlla il prezzo di UCOC più volte al giorno: poiché questo continua a salire, si sente un genio e sta già pensando a cosa comprare con il guadagno (ormai dato per certo) di 5x.

Qualche settimana dopo, però, il titolo perde improvvisamente il 20% in un giorno. Uno dei tanti guru afferma: “Il mercato è bipolare, e gli investitori troppo emotivi. Niente è cambiato nel business sottostante.” Gli investitori che Michele segue su Twitter stanno approfittando della situazione per comprare. Sembra una buona idea: oggi il P/E è di solo 8x, ed il mercato non comprende il concetto di valore intrinseco. UCOC è leader di mercato e cresce del 10% l’anno: quanto più in basso potrebbe andare? Le persone non smetteranno certo di mangiare cioccolata! Decide quindi di comprare qualche altra azione.

Il prezzo però continua a scendere, ma non il multiplo P/E che Michele vede su uno dei tanti database online. Uno sconosciuto analista pubblica un report nel quale fa un downgrade di UCOC, citando l’elevato debito dovuto alle recenti acquisizioni e la mancanza di free cash flows. Ma subito una ricerca di Goldman Stanley cerca di calmare le acque affermando che il debito è solo un modo per ottimizzare la struttura patrimoniale: oggi è molto conveniente al costo di solo 3%, e si può tranquillamente arrivare ad un rapporto debito/EBITDA di 6x. Ed i FCF sono bassi perché UCOC continua a reinvestire nel business per favorire la crescita. Michele pensa che queste siano considerazioni di buon senso, e raddoppia il suo investimento: l’upside è diventato adesso di 10x, e sarebbe da folli non comprare.

Purtroppo, i problemi continuano. Il famoso short-seller Kim Janos afferma che gli utili adjusted sono stati artificialmente gonfiati escludendo alcune spese ricorrenti. L’azione crolla di un altro 20%. Michele pensa che gli short-seller dovrebbero essere regolamentati meglio: in fondo sono i piccoli investitori come lui che vengono maggiormente penalizzati dalla divulgazione di queste notizie! Robert Julianson dichiara di aver venduto il titolo perché pressato dagli investitori nel suo fondo, mentre Goldman Stanley rimuove UCOC dalla sua conviction list, cambiando il consiglio da “strong buy” a “hold” a causa dell’incertezza sul business.

Alla fine, una settimana dopo il CEO di United Cocoa è sulla prima pagina di tutti i giornali finanziari, accusato di aver falsificato i dati sulla vendita di banane attraverso la joint-venture nelle Cayman Islands. Il titolo crolla di un altro 30%: Michele credeva di aver investito in un’azienda solida ed invece adesso si trova in mano uno scarto, ed è sotto di 80% rispetto a quando ha comprato. Si sente arrabbiato, truffato e vuol dimenticare tutta la faccenda: mai più comprerà azioni. 

La morale della favola
L’esperienza di Michele illustra il processo di un “tipico” investitore: io stesso mi ci sono rivisto più volte.

È quasi impossibile scegliere in maniera razionale tra migliaia di titoli disponibili: un investitore deve fare affidamento su scorciatoie (heuristics), come: “Il P/E è solo di...”, oppure: “Il paese/settore sta crescendo a x%”.

Attenzione però a semplificare troppo, o a dare per scontati quegli elementi che compongono il valore intrinseco: nel corso del tempo questo è determinato in maniera preponderante dagli utili reinvestiti ad un rendimento superiore al costo del capitale, ovvero dalle decisioni di allocazione del management. Ma anche metriche come ROIC possono essere fuorvianti se non sono comprese correttamente: non è raro trovare, soprattutto nei settori consumer goods e tecnologia, aziende con ROIC del 40% ma un breve “ciclo di vita del prodotto”. Queste aziende sono costrette a re-inventarsi continuamente e possono finire per distruggere valore nonostante gli eccellenti rendimenti del capitale. Tenetelo a mente la prossima volta che qualcuno vi dice che Apple ad un P/E di 10x è un no-brainer

Gli investitori retail si affidano ai suggerimenti degli esperti per evitare di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Nel campo degli investimenti vale tuttavia la massima di Ronald Reagan sulle relazioni con la ex-Unione Sovietica: “Trust, but verify". Studiare le strategie degli investitori di successo è un ottimo punto di partenza, ma copiare passivamente i loro portafogli (o, peggio ancora, le 2/3 posizioni più recenti) potrebbe non essere la scelta migliore. Per cominciare, la maggior parte delle volte non sappiamo per quale motivo sono state comprate, e quindi se il prezzo dovesse scendere non sapremo se continuare a tenerle, venderle o comprarne ancora. Oggi ci sono dozzine di blog, forum o social networks (nonché newletters a pagamento che promettono di rendervi milionari…) in cui discutere di investimenti, ed è forte la tentazione di farsi influenzare dalle tesi perché sembra “un esperto che ne capisce”. Mai comprare su suggerimento di qualcuno (me compreso) nell’aspettativa di un rapido guadagno: fate sempre i compiti a casa.


Purtroppo nel mondo degli investimenti è assolutamente possibile fare tutte le cose giuste (raccogliere i dati, analizzarli, fare stime prudenti, …) e fallire; ed allo stesso modo, come in un casinò, è possibile puntare a caso e vincere. 

Espressioni come: “Le azioni sono investimenti migliori perché la liquidità non rende niente” sono sempre accattivanti. Ma l’investitore medio tende a preferire le “storie” ai dati concreti come riferimento per le proprie scelte. Promotori, consulenti e strategist spingono le storie perché sanno che quando ce le sventolano davanti troviamo la loro attrazione irresistibile: 1) offrono la speranza di un potenziale senza limiti e di un guadagno (quasi)certo; 2) sono facili da comprendere perché collegate a qualcosa che vediamo ogni giorno nella nostra vita; 3) illustrano bene un trend che abbiamo già identificato. Purtroppo in genere funziona come le sirene con Ulisse, attirando gli investitori sugli scogli.

Questo è collegato anche al problema del confirmatory bias: cerchiamo sempre una qualche evidenza che confermi le nostre intuizioni per sentirci bene. Si raccolgono solo le informazioni che concordano con le nostre preferenze, si costruisce una storia per spiegare l’evidenza dei fatti e dopo si procede a far coincidere la storia con la nostra decisione. È questa la causa principale delle epidemie speculative.

16 commenti:

  1. Bell'articolo!!!
    Ma Giorgia, la moglie di Michele, che fine ha fatto con il suo ETF India?

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  2. Lo stock picking non è per tutti, piano periodico sul Vanguard S&P 500 ETF, se non ti va di "fare i compiti".

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  3. Fare i compiti come ampiamente dimostrato (anche nell'articolo) non solo non basta ma può anche generare la convinzione che il caso sia più forte del ragionamento; anche approfondito. Per il singolo che non vuol avere emozioni forti con i propri risparmi gli ETF rimangono un'ottima alternativa ...che purtroppo può non risparmiare completamente le emozioni forti.

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    1. In questo che voleva essere un post sarcastico, Michele NON ha fatto i compiti a casa, ma si è fidato di amici, colleghi, investitori famosi, blog, etc…

      È vero però che si può fare tutto bene e sbagliare, nella vita come negli investimenti: il ruolo del “caso” è un dato di fatto, bisogna saperlo accettare.

      Un ETF può evitare (o meglio attutire) l’impatto di un -80% su un singolo titolo, ma come hai detto anche tu non risparmia completamente dalle emozioni forti.

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  4. Credo siamo tutti d'accordo sul fatto che occorre fare i compiti a casa. Al di là di una prima selezione di tipo quantitativo del titolo, di un analisi macroeconomica (spesso dettata da quello che leggiamo sul sole 24 ore così come scrive sul suo articolo) , e' proprio la perfetta comprensione del business sottostante , del capire cosa si va a comprare che richiede una maggiore cultura economica finanziaria. Ci indica quali informazioni cerca e dove le cerca in un analisi? Quali testi di studio ritiene essenziali aver bene compreso?

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    1. Per il mio approccio, capire il business sottostante (cosa determina il successo, che rendimenti ha, dove potrà essere tra 5-10 anni, …) è più importante di fare una valutazione precisa o del fatto che l’azienda tratta a bassi multipli.

      Per le singole aziende, i dati quantitativi li ricavo direttamente dai bilanci annuali (10-K per le aziende americane), almeno per gli ultimi 5 anni (meglio ultimi 10 o 15 anni). Per capire un settore, il miglior modo è studiarlo: analizzare varie aziende che lo compongono, vedere quali hanno avuto successo e quali no, quanta variabilità c’è, … Oggi è abbastanza facile trovare risorse di buona qualità per comprendere un settore, compresi i report del sell-side.

      Infine, qualche tempo fa avevo raccolto qui (http://mrmarketmiscalculates.blogspot.it/2014/02/per-chi-volesse-approfondire-libri.html) alcuni testi che ho trovato utili nell’imparare come analizzare e valutare un’azienda (ce ne sono ovviamente molti altri). Dipende ovviamente dal “livello” che si vuole: come detto prima, il punto di partenza per me è saper leggere un bilancio, una volta imparato questo si può passare a letture più tecniche.

      Spero di aver risposto alla sua domanda.

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  5. Si. Esattamente ! Grazie. Se è possibile chiedere ancora un 'ultima cosa.. Cosa son i reports del "sell side" e dove si trovano?

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    1. Con sell-side si indicano gli analisti delle banche che fanno ricerca su azioni, titoli, mercati, paesi, etc… Il buy-side è invece formato da gestori ed asset manager.

      Tipicamente i report del sell-side sono riservati ai clienti della banca: sono un “servizio” che fanno per fidelizzare i clienti – il buy-side – a fare transazioni con loro. Ma le banche lavorano anche con gli emittenti/aziende coperte nei report, e quindi non si è mai sicuri di quanto “disinteressate” siano le raccomandazioni ai clienti.
      Esistono anche società indipendenti di ricerca (un esempio: www.bcaresearch.com), ma in questo caso l’accesso è a pagamento.

      Comunque, cercando qua e la oggi si trova gratuitamente molta di questa ricerca (magari non proprio il giorno di pubblicazione)

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  6. Lo stock picking è solo per i professionisti e nella maggior parte dei casi funziona male anche per loro (come una celebre sfida di Buffett che lei riporta nel suo blog esemplifica). Il singolo investitore non può permetterselo per quanti "compiti a casa" possa fare come ha tristemente dovuto ammettere anche Joe Greenblatt nel "percorso" tracciato dai suoi libri dove iniziando come un "genio del mercato azionario" si finisce per scoprire il "segreto del piccolo investitore".

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    1. Non necessariamente: certo, non è facile, altrimenti saremmo tutti milionari.

      Anche se non è un professionista, il “piccolo investitore” ha dei vantaggi enormi rispetto ad un gestore che è valutato e giudicato tutti i mesi: la pazienza e la disciplina giocano a suo favore. Bastano poche, buone azioni per ottenere risultati soddisfacenti nel lungo periodo.

      È vero, queste poche azioni bisogna saperle scegliere, ma gli elementi importanti da ricordare sono 4/5. Il problema è proprio questo: molti ritengono di poter fare stock picking seguendo i consigli della settimana o quello che è di moda, di saper comprare solo “le azioni che vanno su”, o di essere in grado di “vendere ai massimi”. È la psicologia che li frega, non la selezione.

      PS: la sfida di Buffett vs. fund-of-hedge-fund era più sui costi di questi veicoli.

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  7. Buffett proponeva come alternativa l'acquisto di un indice.
    Indice che a seconda dei gusti può essere comprato nelle più svariate forme tramite ETF a basso costo. I risultati soddisfacenti di lungo periodo di cui parla svaniscono come neve al sole se il confronto non ci trova in vantaggio.
    Quanto bisogna sapere (e saper applicare) per costruire un portafoglio in grado di batterlo? Il lavoro fatto nello stock picking deve essere lautamente ripagato per giustificare il costo in tempo, energia, speranza.

    E' vero, il singolo investitore ha dei vantaggi su un gestore ma quanto può approfittarne? Se fossero solo 4/5 gli elementi da ricordare saremmo davvero tutti milionari; credo che lei commetta lo stesso errore fatto da Greenblatt nel suo primo libro, supporre che la conoscenza che lei ha sia condivisa o disponibile ad altri.

    Concordo però sul fatto che sia la psicologia che frega, ed è appunto la psicologia che può illudere pericolosamente di essere più bravi di quello che si è.

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    1. In parte condivido, in parte no: ognuno deve seguire la filosofia che meglio si adatta alle sue caratteristiche (finanziarie e psicologiche).

      Mi sembra di capire che lei preferisca gli ETF, e sicuramente sono migliori dei costosi fondi pseudo-attivi. Lo stesso Buffett ha detto: “By periodically investing in an index fund, for example, the know-nothing investor can actually outperform most investment professionals. Paradoxically, when ‘dumb’ money acknowledges its limitations, it ceases to be dumb.” [Come da definizione di Munger, un “know nothing” investor è qualcuno che non comprende i fondamentali economici sottostanti un business e come valutarli.]

      Io preferisco portafogli concentrati di “buone azioni”. Su quali siano gli elementi necessari per selezionarle, mi rifaccio alle parole di un altro value investor, Marty Whitman: “Based on my own personal experience - both as an investor in recent years and an expert witness in years past - rarely do more than three or four variables really count. Everything else is noise.”

      Concordo che non tutti possono avere lo stesso livello di conoscenza, ma questo è nell’ordine delle cose: tutti sappiamo curarci un raffreddore da soli, ma sono pochi quelli che sanno fare un’operazione a cuore aperto.

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  8. Sono un risparmiatore fai da te ma pur avendo una buona conoscenza sulla finanza in genere ritengo che il problema di fondo sia la mancanza di strumenti idonei per operare. La regola di base e' differenziare e avere costi minimi ma cio' non e' possibile. Mi spiego meglio: mi piacerebbe comprare azioni estere e tenerle magari per lungo tempo: c'e' il problema della tassazione dei dividendi che subiscono la doppia imposizione...quindi scarto questa ipotesi. Vorrei comprare dei bond societari: mercati illiquidi e di conseguenza costi troppo alti....inoltre mi accorgo spesso che i bond che vorrei comprare in fase di emissione sono rivolti agli istituzionali. Etf: costi di gestione bassi ma oltre a quelli ce ne sono altro occulti che incidono; inoltre pur essendo indici passivi non sono vincolanti e quindi puo' capitare che non rispettino il benchmark di riferimento in modo uniforme....mi e' capitato recentemente con un etf sulle basic resource; e poi...io delle banche non mi fido più: perché dovrei essere sicuro che quel etf sia gestito in modo regolare? perche' un etf che va male o e' illiquido ad un certo punto viene ritirato? Fondi, polizze, certificati, non ne parliamo neanche.....
    Insomma mi sembra che la lobby bancaria faccia il possibile per evitare che il singolo risparmiatore possa investire in modo autonomo. Forse mi sbaglio?

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