martedì 27 ottobre 2020

OPA su Massimo Zanetti Beverage Group

Massimo Zanetti Beverage Group (MZB:IM) è un’azienda della quale avevo parlato al momento dell’IPO nel 2015.

Quotata a €11,60, non ha praticamente mai rivisto quel livello, e da inizio anno ha trattato tra €3 e €6.
Lo scorso 29 settembre l’azionista di controllo ha annunciato un’offerta di acquisto sul 32% del capitale non detenuto da MZ Industries (la holding di Massimo Zanetti) con l’obiettivo di delistare l’azienda da Borsa Italiana: l’offerta di €5 rappresenta un “premio” di 23% sulla media dei prezzi degli ultimi 6 mesi.  

Non è mai bello - nella vita e negli investimenti - dire “te lo avevo detto”: non è infatti raro fare tutto correttamente (analisi dettagliata, valutazione conservativa, …) e perdere soldi, mentre al contrario si possono tirare le freccette a Il Sole 24 Ore e guadagnare.

Tuttavia, alcuni dei punti più controversi fin dall’IPO sono proprio quelli che hanno frenato il prezzo nei 5 anni di quotazione: sotto “Cosa non mi convince pienamente”, scrivevo:
“Corporate governance. Questa è forse, a mio avviso, la nota più dolente. […] Il gruppo ha infatti trasferito a società direttamente riconducibili a Massimo Zanetti “[…] il business afferente la coltivazione, lavorazione e commercializzazione del caffè verde”.

[…] In particolare, sono state de-consolidate con un’operazione di scissione parziale proporzionale Cofiroasters e le fazendas in Brasile e Centro-America. La decisione è stata presa per presentare al mercato un gruppo più omogeneo, concentrato sul core business e senza l’attività di trading che poteva essere considerata rischiosa e difficile da valutare.

[…] Cofiroasters […] fornisce infatti oltre il 50% della materia prima a MZBG: adesso che non fa più parte del gruppo ma è controllata separatamente dal principale azionista, il rischio è che possano sorgere dei conflitti di interesse a scapito dei futuri azionisti di minoranza di MZBG.”
Un’altra red flag era il fatto che i proventi dell’aumento di capitale erano destinati in via prioritaria a rimborsare prestiti esistenti fatti dalla stessa banca che seguiva la quotazione, e quindi non è stata un’operazione per espandere il business.

La conclusione era stata che:
[…] mi sembra che i benefici siano a favore soprattutto del venditore (nonché degli advisor), piuttosto che dei nuovi azionisti di minoranza.”
Purtroppo, situazioni come questa accadono troppo frequentemente: l’ultima, molto simile, è stata prima la fusione per incorporazione di GIMA TT in IMA (dopo che IMA aveva scorporato e quotato GIMA TT nel 2017), e successivamente l’OPA degli azionisti di controllo sull’intera IMA. Tutte operazioni fatte con nessuna attenzione per gli azionisti di minoranza. Al confronto, il tentativo di take-under di CVC su Recordati è stato un’operazione da educande.

Il capitalismo familiare è una peculiarità del sistema economico italiano, e ci sono molteplici studi che dimostrano come queste aziende abbiano, nel lungo periodo, rendimenti migliori, proprio perché una “famiglia” può permettersi di pensare al lungo termine al contrario del management “esterno” che deve invece massimizzare i profitti in pochi anni.

Ma queste operazioni da “furbetti del quartierino” non sono una buona pubblicità per Borsa Italiana, ed un freno allo sviluppo anche dei private markets

Mi chiedo se tutti i fondi che ostentano la loro offerta di prodotti ESG prestino una qualche attenzione alla G…

5 commenti:

  1. Ottimo articolo!
    Alla larga dal porcile di Borsa Italica, alla larga!

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  2. Anni fa decisi di vendere le mie azioni Biesse perché il proprietario si pagava uno stipendio che era un quarto dell'utile. Visto che poi si prendeva comunque anche 2/3 dell'utile residuo non mi sembrava il caso di stare in società con uno così. Lo stesso per altre aziende (per esempio Tamburi, che tra lui, la moglie e il dg si prendono uno stipendio da brivido + warrant e stock options). Mi è sempre piaciuto l'idea di Warren Buffett, che di fatto non ha stipendio e guadagna "con" te non "grazie" a te. Sono convinto che ci siano un sacco di aziende che potenzialmente potrebbero quotarsi in borsa. Peccato però che abbiano solo l'obiettivo di fare cassa (ai danni dei nuovi soci), evitando il più possibile disclosure su stipendi e relazioni con parti correlate. Un paio di anni fa, un gruppo importante della mia zona ha tentato la quotazione (fallendo) con un prezzo ipo folle e con un ipotetico nuovo consiglio di amministrazione raddoppiato nei componenti (tutti i figli dei soci originari) e con compensi mozzafiato (di fatto prosciugando l'utile). Il tutto con decine di capannoni con il tetto in eternet da bonificare, cause milionarie con agenzia delle entrate in corso per violazione transfer prices, processi per lesioni gravi e omicidio colposo per infortuni in azienda.
    E dopo aver speso 10 milioni per il processo di quotazione (un quinto dell'utile dell'anno)..

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  3. Io ho una mia personale "rule of thumb" sulle IPO, molto empirica ammetto. Non le compro in emissione, tutto qui.
    In linea MOLTO generale credo che la prima quotazione sia fatta solo se l'azionista di controllo ne ha bisogno (debiti, prospettive del mercato viste decrescenti ecc.).
    Perchè mai uno dovrebbe mettersi in casa dei rompiballe? Le assemblee, le comunicaz periodiche al mercato, una serie di obblighi di legge che impediscono di fare quel che pare e piace...
    E poi al massimo fettine di massima sicurezza per il controllo, del 25/30% di flottante sul totale...Le fanno strapagare, così il resto delle azioni costa agli azionisti di controllo ancora meno, che gli importa come va dopo il prezzo?

    Poi un paio di anni dopo di solito capita che la stessa società si possa comprare sul secondario a prezzi ben inferiori all'IPO. Non dico sempre (se becchi Amazon in emissione...), ma spesso, almeno da noi.
    Tra i tanti esempi domestici, Saras (che io pure ho avuto, per due-tre giri, ora no). Ricordo come addirittura il Sole 24 Ore fosse tra le righe "perplesso" sul pzo di emissione, mi pare a 6 euro.

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  4. Purtroppo in Italia le aziende che rispettano davvero gli azionisti di minoranza sono davvero poche... Rispetto agli USA su questo fronte siamo molto indietro.
    Segnalo un caso che ho paura finira' come Massimo Zanetti, ovvero Cover 50, cui si e' accennato a volte nei commenti di questo blog. Ha raccolto circa 10 mln di euro con l'ipo e sono rimasti in cassa. Attualmente capitalizza 24 mln e ha 12 mln di cassa. Il rischio che l'azionista di maggioranza, che e' presidente e ad, faccia un'opa, ovviamente a prezzi molto inferiori della ipo, lo vedo moooolto possibile.

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    1. Non tutte le aziende sono fatte per stare in Borsa: non è illegale quotarsi per monetizzare il proprio lavoro di una vita, ma come dice Unknown qui sopra questo comporta dei costi e necessità di essere “aperti”.

      Cover50 non la conosco benissimo, ma mi sembra che non cresca per niente (da qui anche l’accumulo di liquidità), quindi il prezzo riflette probabilmente l’andamento del business piuttosto che problemi di governance. Se è così, non sono sicuro che convenga un MBO, che viene fatto se si ritiene che l’azienda valga più di quanto il mercato la valuti. È vero che può comunque essere vantaggioso tornare completamente privati.

      Il caso di MZB è a mio parere diverso (e peggiore): prima della quotazione ha scorporato la parte più interessante che si è tenuto per sé, creando anche conflitti d’interesse con i nuovi azionisti di minoranza; ha usato i capitali freschi dell’IPO per pagare i debiti, quotandosi ad una valutazione che non era giustificata dai fondamentali (ben meno redditizia di altre aziende nel settore); e dopo 5 anni torna al punto di partenza però senza debiti!

      Mi spiace dirlo, ma tutti questi “segnali” erano ben evidenti: chi ci ha investito lo ha fatto in maniera naïve.

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