giovedì 30 aprile 2020

Airlines

Questa tabella confronta il P/BV attuale di alcune aerolinee rispetto alle altre “crisi” recenti (GFC 2008, euro 2011: volevo ricostruire anche i valori al settembre 2001 ma non è stato possibile). Normalmente, multipli come EV/EBIT o anche EV/Sales sarebbe più indicativi, ma con fatturati ed utili in caduta verticale P/BV è l’unico che permette un confronto storico.

Nota: WIZZ, RYA e SIA chiudono l’anno fiscale a marzo, tutte le altre a dicembre.


Un paio di note:

  • I valori di P/BV possono essere molto diversi a causa delle differenze nei fondamentali: le low-cost (Ryanair, WizzAir e Southwest) sono molto più efficienti e redditizie dei national carriers (Lufthansa, Air-France) e quindi trattano a multipli superiori
  • American Airlines e United Airlines hanno avuto per gran parte delle ultime due decadi valori contabili di equity negativi o molto risicati (in alcuni periodi anche Delta Airlines), e quindi il loro P/BV storico non è significativo.
In un settore con così tanta incertezza e sentimento negativo mi sarei aspettato di trovare prezzi più a livello di distress: ed invece LUV, sicuramente la migliore tra le aerolinee US (ma che nel solo mese di aprile ha “bruciato” $900 milioni di liquidità) tratta ad un P/BV di 1,6x, ben 60% più alto del 2008, un periodo che fu certamente difficile ma non da metterne in dubbio la sopravvivenza.

In realtà, nella decade dal 2002 al 2012 il prezzo delle low-cost non si è praticamente mosso, nonostante la loro crescita eccezionale (RYA moltipicò i passeggeri di 7x, da 11 milioni a 75 milioni): è soltanto dal 2013 (che per RYA coincise con l’inizio di free cash flows positivi) che i loro prezzi hanno cominciato a decollare.

Mentre alcune sembrano molto sicure di tornare a breve ad una quasi normalità (WIZZ ricomincia domani con i primi voli con l’obiettivo di arrivare a 70% della capacità per luglio/agosto, mentre RYA prevede di essere ad 80% per settembre), Norwegian Air ipotizza invece una situazione molto differente: nel caso di ripresa lenta prevede che la domanda tornerà al 70% della capacità solo un anno dopo, ovvero alla fine del 2021, inclusa l’avvertenza che il settore potrebbe non tornare mai ai livelli pre-crisi. [Per chi è interessato ad operazioni di ristrutturazioni etc, il deck presentato agli obbligazionisti ha dati e grafici molto informativi.] 


Questo articolo del Washington Post descrive molto bene la situazione tipica di come si diffonde una malattia per via respiratoria su un aereo, inclusi gli investimenti (volontari e/o imposti dalle autorità) che saranno necessari per ricominciare ad attirare i viaggiatori:
“When the world emerges from the pandemic, the size of the commercial market and the types of products and services our customers want and need will likely be different.” (Dave Calhoun, CEO Boeing)
Varie aerolinee sono finite in bancarotta dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001, un evento che causò una riduzione del traffico aereo molto più lieve di quanto stia avvenendo oggi (AirCanada vivacchiò per un paio di anni prima di arrendersi definitivamente nel 2003): la combinazione di leva finanziaria e bassi margini operativi non porta mai a risultati positivi. 

Alcune di queste aerolinee sono anche gestite bene, ma è difficile pensare che torneranno ai numeri pre-Covid finché non ci sarà un vaccino affidabile: è vero che il basso prezzo del petrolio è un enorme aiuto (il carburante è di gran lunga il costo principale per le aerolinee) e che potranno sfruttare nuove rotte e slots lasciati liberi dai competitors più deboli, ma far viaggiare gli aerei anche solo 2/3 pieni porterà sicuramente ad un impairment del valore dei loro assets.

Il business model delle aerolinee low cost è infatti centrato su prezzi bassi e costi ridotti al minimo, ma rimane comunque dipendente dal volume dei passeggeri, perché i costi fissi portano ad una elevata leva operativa: RYA è dovuta arrivare a 75 milioni di passeggeri prima di avere cash flows stabili (oggi ha raddoppiato di nuovo rotte e biglietti ed il capex è allo stesso modo aumentato, ma i cash flows sono rimasti comunque positivi). Ma cosa succede se i posti venduti si dimezzano? Secondo un mio rapido ed approssimativo calcolo, una riduzione del 50% dei passeggeri farebbe crollare il suo EBITDA da €1,6 miliardi a -€150 milioni. [Ipotesi molto semplificate: ricavi medi per passeggero degli ultimi 3 anni, costi medi degli ultimi tre anni per quelli “fissi” e riduzione proporzionale di 50% per quelli variabili: come detto, la variabile chiave è il petrolio, il cui calo dovrebbe portare a risultati migliori di questi].

Nel medio periodo WIZZ e RYA mi interessano, ma solo a prezzi molto più bassi di quelli attuali: l’unica che al momento sembra effettivamente cheap e forse la migliore opportunità è Copa Holdings.


 

5 commenti:

  1. Grazie del post. Per i pochi che non lo sapessero il CEO di Ryanair O'Leary ha detto di recente che volando al 66% di load factor la società "non ci sta dentro".

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    1. grazie, non lo avevo letto ma conferma a grandi linee i miei calcoli

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  2. Gentile Matteo, non è pertinente ma allego questo da Zerohedge, forse serve come spunto futuro:
    https://www.zerohedge.com/economics/suvs-are-being-parked-middle-ocean-auto-inventory-crisis-deepens .

    Fatte le opportune distinzioni col mercato delle aerolinee, mi e Le chiedo se - rating a parte - anche alcune grandi case automotive non siano sempre più simili ai dinosauri pre-estinzione: dimensioni planetarie e indebitamento, mi pare lascino pochi spazi di manovra.
    Dove là forse un meteorite innescò un cambiamento climatico planetario, ora si sta cercando di uscire da una epidemia di 'supply chain disruption' in primis, e più tardi (second wave?) di eccesso di offerta. Secondo me anche il mercato dell'auto usata prenderà una ennesima batosta (e gli autonoleggi?), per cui ottimo per chi deve cambiare auto...

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    1. Sicuramente al momento il crollo della domanda di molti beni (auto in primis) ha portato ad un eccesso di offerta ed inventories: è quello che dovrebbe portare a deflazione al quale facevo riferimento nel post precedente.

      Dal punto di vista del debito, non tutte le case automobilistiche globali ne hanno troppo: in molti casi, ad esempio BMW, è praticamente tutto nella parte di financial services (quella che fa prestiti all'acquisto), non nella parte operativa. Non vuol dire che non ci siano problemi, se i compratori non riescono a pagare le rate devono vendere l'auto, intasando ancora più il mercato secondario con conseguente crollo dei prezzi, etc... Ma non è debito che può far fallire l'azienda.

      Se il futuro sia delle auto a combustione o elettriche, car-sharing, guida autonoma o altro, questo va oltre le mie capacità

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  3. ...e pure oltre le mie. grazie della risposta.

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