martedì 28 aprile 2020

Investire ai tempi del COVID-19 (cont.)

Altro post lungo, e di nuovo con più domande che certezze. Vale la solita premessa: non ho particolari competenze per determinare come si evolverà la situazione in termini di contagi e ripresa economica. In questi giorni tutti hanno la loro opinione e le scelte politiche preferite: da pessimista razionale (credo che la definizione sia di Munger) preferisco pianificare per una “seconda” e “terza” ondata (probabilmente inevitabili il prossimo inverno in mancanza di un vaccino sicuro). Ma per quanto riguarda tempi, modi, impatti, conseguenze, etc… è tutto assolutamente aleatorio. 

Stati patrimoniali più solidi
Dopo 40 anni di tassi d’interesse in discesa, molti business (sia quotati che privati) sono gestiti con un cuscinetto di liquidità troppo risicato. Nell’ultima decade i maggiori acquirenti di azioni sono state le aziende stesse, non i fondi pensione, i fondi sovrani e tanto meno gli individui.

Dopo il 2008 molti CFO hanno avuto un compito ben preciso: determinare quanta liquidità era necessaria per affrontare un’altra crisi. Sono stati costruiti modelli sofisticati per esaminare di quanto gli utili sarebbero potuti crollare prima di mettere in pericolo l’azienda, e si è ottimizzata la struttura finanziaria su questi modelli. Nessuno, probabilmente, ha considerato di quanto potevano diminuire i fatturati, e di conseguenza ha creato un tesoretto per i giorni di pioggia che andasse al di là di qualche linea di credito bancaria. Quasi tutta la liquidità in eccesso è stata usata per il riacquisto di azioni (ai multipli più elevati di sempre: anche quando fatti a prezzi non convenienti i buyback hanno migliorato il ROE perché il debito è molto a buon mercato). Ma se passate una decade a riacquistare azioni e poi diluite i vostri azionisti di 80% con un aumento di capitale necessario per sopravvivere (come ha fatto Carnival), avete creato valore per qualcuno?

Una delle prime conseguenze di COVID dovrebbe essere una maggiore avversione al rischio: molti business cominceranno a pensare di mantenere almeno sei mesi di spese operative sempre disponibili, con bilanci in stile giapponese e minima leva finanziaria.

Se possedete aziende in settori con rendimenti mediocri a livello operativo che diventano interessanti solo grazie all’elevata leva finanziaria (ad esempio le MLP delle pipeline), dovreste considerare come sono i fondamentali quando la leva finanziaria scende precipitosamente: sareste sorpresi da come il ROE crolli drasticamente. Al contrario, industrie che sono state soggette ad un eccesso di offerta vedranno da oggi minore concorrenza, perché molti attori saranno impegnati a riparare lo stato patrimoniale anziché focalizzarsi sulla crescita a tutti i costi.

Cominciano a includere nelle nostre valutazioni ROE più bassi, proprio come in Giappone.

 
On-shoring delle filiere produttive
Ci sarà un cambiamento da produzione “just-in-time” a “just-in-case”? Molte aziende saranno molto più restie nel dipendere da una sola fonte per gli approvvigionamenti, preferendo la flessibilità di poter cambiare fornitore o localizzazione. Ma questo ha un costo.

Negli ultimi 20 anni molte aziende hanno migliorato il loro capitale circolante (e quindi il cash conversion rate) essenzialmente allungando i tempi di pagamento dei fornitori, soprattutto quelli nei mercati emergenti: il grafico seguente mostra il ciclo del capitale circolante per Elettrolux negli ultimi 15 anni.
 


Fonte: Behind the Balance Sheet su dati Sentieo.

Come si può vedere, la conversione del capitale circolante in liquidità è migliorata notevolmente, passando da circa 60 giorni a zero. I credit da clienti (DSO) sono rimasti in media attorno a 60 giorni; le rimanenze (DSI) sono allo stesso modo rimaste costanti sempre attorno a 60 giorni; i debiti verso fornitori (DPO) sono invece raddoppianti da 60 giorni (→ ciclo della liquidità = 60 giorni) a 120 giorni (→ ciclo della liquidità = 0 giorni). I fornitori di Elettrolux potrebbero essere tutte aziende in salute e quindi continuare a queste condizioni. Ma è probabile che molti di loro siano in difficoltà: a meno che Elettrolux non li paghi in tempi più rapidi (o addirittura in anticipo) non saranno in grado di rispettare le scadenze ed i quantitativi richiesti.

Anche questo tipo di financial engineering è stato adottato da tutte le multinazionali e a meno che la loro filiera non sia a prova di bomba i costi di produzione aumenteranno: di nuovo, ROIC sarà in diminuzione perché il capitale circolante necessario sarà maggiore.

Inflazione o deflazione?
La crisi del coronavirus ha creato enormi problemi di sopravvivenza per molti settori: la durata sarà variabile - ad esempio, fintanto che permane la minaccia della trasmissione del virus le compagnie di crociera avranno molte difficoltà a convincere i clienti, mentre il rischio per vacanze a corto raggio può essere percepito come inferiore.

Questi sono stati gli impatti diretti: quello che oggi dobbiamo ancora capire sono quelli indiretti oltre il declino economico generale. Da un lato, c’è stata sicuramente una enorme distruzione di domanda che rende difficile vedere il ritorno dell’inflazione; dall’altro ci sono però i nuovi, massicci interventi di governi e banche centrali.

La mia personalissima opinione è che ci sarà un’ampia divergenza nei trend dei prezzi, e quindi a livello aggregato difficile dire se prevarrà inflazione o deflazione. Per alcuni beni (incluso il cibo) i prezzi sono già aumentati, non solo per la disruption nelle filiere produttive; altri beni vedranno prezzi maggiori per la necessità di social distancing (biglietti aerei? cene al ristorante?). Ma per molti altri (ed in alcuni paesi) la domanda aggregata non è ancora tornata ai livelli pre-2008, ed oggi potrà solo peggiorare perché moltissimi dovranno ridurre le proprie spese.

Tuttavia, anche se sembra impensabile dato lo stato depresso della domanda (ma sembrava improbabile anche a metà degli anni 1960), tutto il denaro immesso nel sistema potrebbe effettivamente portare ad inflazione. Un altro fattore da considerare è che negli ultimi 20 anni ci siamo abituati ad efficienza estreme e prezzi bassi, con la disponibilità immediata di risorse data per scontata: se vogliamo comprare qualcosa andiamo su Amazon ed il giorno dopo arriva; se abbiamo bisogno di spazi lavorativi andiamo da WeWork; etc… Molte di queste certezze stanno crollando, non solo per le catene di approvvigionamento ma anche per uffici temporanei, forza lavoro interinale, …: molte cose non saranno più così facilmente disponibili a richiesta. 

Se ci sarà inflazione non sarà dovuta alla domanda (scarsa), quanto piuttosto alla carenza di offerta, almeno in alcuni settori: un’inflazione contenuta può essere positiva per le azioni (e per i bilanci dei governi indebitati), ma quanto supera 5% comincia a pesare sulle valutazioni.

Tassi d’interesse e valutazioni
Collegato al punto precedente è il fatto che da quest’anno tutti i governi saranno più indebitati del passato, in un periodo nel quale i debiti pubblici erano già saliti dopo il 2008.

Fonte: Behind the Balance Sheet su dati BIS.

Un motivo per il quale potrebbe non essere un problema è che se tutti i governi delle economie avanzate avranno maggiori debiti non ci saranno svantaggi relativi e quindi forse nessun rischio reale che non possano essere rifinanziati. Ma ad un certo punto dovranno comunque impegnarsi a ridurli: come minimo saranno ancora costretti ad una politica di repressione finanziaria dove i tassi di interesse nominali sono inferiori all'inflazione. È così dal alcuni anni in Europa, e sarà probabilmente così anche in US.

Ciò potrebbe essere richiesto per decenni anziché per anni, ed avrà un impatto anche su altri mercati: è vero che nel medio termine i tassi bassi continueranno a supportare le valutazioni azionarie, ma i debiti aggregati pesano sugli investimenti (maggior propensione al risparmio) e quindi sulla crescita.

Non solo, i tassi ridotti portano due altri problemi: 1) difficoltà a generare income dalle obbligazioni (ed infatti in Europa tra i settori più in difficoltà da anni ci sono le assicurazioni vita); e 2) fanno aumentare il valore presente delle liabilities future, soprattutto quelle pensionistiche a lungo termine. Per le aziende quotate, un aumento del deficit pensionistico aziendale equivale ad una riduzione quasi lineare del book value. E non aiuterà molto aver investito queste pensioni in alternatives, perché anche molte strategie di private equity / private debt soffriranno.

Infine, come detto per molte aziende la priorità nei prossimi anni sarà ristrutturare lo stato patrimoniale, mentre i dividendi diventeranno secondari. In particolare, per quelle aziende che saranno soggette a salvataggio pubblico i dividendi saranno limitati se non proibiti finché non saranno ripagati i prestiti statali. Ed anche per le banche la moral suasion è di “invitarle” a cancellarli (situazione simile per le assicurazioni).

Dall’altro lato, aziende che hanno sempre pagato buoni dividendi senza eccedere con i buyback (aristocrats) e quelle che li pagano avendo ampia liquidità (Microsoft, Apple) potrebbero vedere un ulteriore re-rating in quanto saranno ancora di più delle gemme rare ricercate da tutti i fondi focalizzati su income: soprattutto in US i dividendi sono spesso molto più bassi dei buyback e quindi è probabile che queste aziende continueranno a pagarli rinunciando al riacquisto di azioni proprie.

Bezzle
Il termine bezzle (traducibile con “saccheggio”) è stato coniato da JK Galbraith nel libro “The Great Crash of 1929”.

“To the economist embezzlement is the most interesting of crimes. Alone among the various forms of larceny it has a time parameter. Weeks, months or years may elapse between the commission of the crime and its discovery. (This is a period, incidentally, when the embezzler has his gain and the man who has been embezzled, oddly enough, feels no loss. There is a net increase in psychic wealth.) At any given time there exists an inventory of undiscovered embezzlement in – or more precisely not in – the country’s business and banks. This inventory – it should perhaps be called the bezzle – amounts at any moment to many millions of dollars. It also varies in size with the business cycle. In good times people are relaxed, trusting, and money is plentiful. But even though money is plentiful, there are always many people who need more. Under these circumstances the rate of embezzlement grows, the rate of discovery falls off, and the bezzle increases rapidly. In depression all this is reversed. Money is watched with a narrow, suspicious eye. The man who handles it is assumed to be dishonest until he proves himself otherwise. Audits are penetrating and meticulous. Commercial morality is enormously improved. The bezzle shrinks.”
Questo è esattamente quello che è successo negli ultimi 5 anni.
Fonte: Yardeni


Questo grafico mostra il divario tra i margini di profitto delle aziende incluse in S&P 500 ed i margini NIPA (National Income and Product Accounts), una misura economica aggregata. Ci sono vari motivi per i quali i margini di S&P sono più elevati (primo tra tutti la presenza delle mega-cap del settore tecnologico), ma non con questa divergenza. Lo stesso è accaduto alla fine degli anni 1990, quando i margini di S&P crollarono per allinearsi a quelli NIPA, e quindi potrebbe accadere di nuovo.

Oggi molte aziende approfitteranno della crisi per resettare i profitti, e la colpa sarà data al virus. Hanno tirato troppo l’elastico dei profitti (in maniera lecita e secondo i principi contabili, sia chiaro) ed oggi hanno l’opportunità di mettere ordine nei conti: molte guidance sugli utili saranno ribassate, anche prima di considerare gli effetti del virus. 

Alcune conclusioni 

Non ho la sfera di cristallo, e non so chi sia più attendibile tra i catastrofisti che vedono un crollo del 50% delle azioni e gli imbonitori delle newsletter che giurano su nuovi massimi entro 12 mesi. È troppo presto – oltre che sempre difficile – per predire l’andamento dei mercati, che dipenderà dall'equilibrio tra la spinta verso il basso di alcuni fattori qui discussi (deflazione, crescita anemica) e la spinta verso l’alto della liquidità. Siamo in una situazione peculiare e le esperienze storiche sono di poco aiuto: la pandemia del 1918 si incrociò con la fine della prima guerra mondiale, quando la situazione economica e dei mercati finanziari era molto diversa.

È tuttavia opportuno ricordare che il punto di partenza attuale è redditività record ed il mercato rialzista più lungo mai registrato: i prezzi non sono ancora a livello di saldo.

Ovviamente, come successo dopo il 2008, tra due anni ci saremo già dimenticati di tutto questo…




3 commenti:

  1. Buongiorno Matteo,
    nel 2008 ci siamo resi conto come un problema legato "solo" all'ambito finanziario si sia ripercosso brutalmente sulle aziende e sul lavoro, dal momento che per coprire i buchi di liquidità lasciati dai titoli spazzatura, le bache hanno chiesto alle ziende di rientrare del debito.
    Ricordo vari servizi televisivi in cui il titolare d'azienda di turno parlava della crisi a cui andava incontro (per via di dover rientrare del debito in modo veloce) con conseguenze sui lavoratori (riduzione costi) o sull'azienda stessa (chiusura).
    Dicono che questa crisi sia diversa, ma l'onda lunga non sarà la stessa?
    In questo caso il "LA" non verrà dato dai sottoscrittori di mutui, ma da milioni di micro aziende (pensiamo in Italia il solo settore ristorazione/turismo per dirne uno).
    Molte aziende non saranno in grado di pagare le rate dei prestiti bancari, così come le persone non erano in grado di pagare le rate dei mutui subprime nel 2008.
    Si è vero in questo caso il QE sta partendo da subito...
    Ma se non porta liquidità alle micro aziende in forma di fondo perduto, a cosa serve? Solo a tenere i mercati alti?
    Aiutare aziende in crisi con la possibilità di aumentare il proprio debito non sembra una cura molto valida...
    Che ne pensi?
    Un Saluto
    Carlo

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    1. Penso che concordo, ma identificare quale sia la scelta migliore per far ripartire l'economia e salvare le aziende (anzi, meglio, le persone) va oltre le mie competenze: io cerco di limitarmi a capire cosa potrà voler dire per gli investimenti finanziari.

      Una considerazione però la faccio, e questo vale anche per l’analisi delle aziende quotate: i prestiti bancari sono in genere sempre richiamabili a discrezione della banca che li eroga, a differenza delle obbligazioni che invece hanno una scadenza fissa (tranne casi specifici di call, un obbligazionista non può andare dall’azienda e chiedere di vedersi ripagato il nominale prima della scadenza).

      So benissimo che le micro-aziende non hanno accesso ai mercati delle obbligazioni, ma molte aziende italiane di medie dimensioni, quotate, che potrebbero emettere bond sono invece ancora troppo dipendenti dal debito bancario.

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  2. molto interessante l'argomento su prevalenza di inflazione o deflazione, e di base concordo su una visione "a macchia di leopardo", cioè compresenza di inflazione per un settore e deflazione per un altro. In particolare ho appena sentito che in HSBC vedono il rendimento del TSY 10 anni sotto 0,50% per molto tempo, con concreto rischio di Japanification.
    Per cui: banche centrali che stampano alla disperata nella speranza di inflazionare debiti monstre con rendimenti nulli o quasi dall'obbligazionario. E si perpetua il paradosso di sostegno artificioso per l'azionario (in cui tutti sperano un minimo rendimento positivo, perchè se no le commissioni di gestione come le giustifichi?), ma con rischi altissimi se misurati sul rendimento atteso.
    Io personalmente mi prendo da tempo il rischio di restare liquido, e non mi vergogno a dire che ho anche perso dei rialzi.

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